Artemisia e gli occhi del diavolo di Bruno Sacco, passione e genio di una donna

490
In foto un'opera di Artemisia Gentileschi

di Fiorella Franchini

“Il racconto è un’operazione sulla durata, – scriveva Italo Calvino – un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo, contraendolo o dilatandolo”. Artemisia e gli occhi del diavolo di Bruno Sacco, edizioni Kairòs – Serie Oro, è una porta verso l’altrove ove in un misto di storia e d’invenzioni, si narra una vicenda ambientata in un’epoca precisa, la Napoli del Seicento, ricostruita accuratamente nelle sue caratteristiche sociali e culturali. Accanto a personaggi storici, la pittora Artemisia da Roma, artisti come Massimo Stanzione e i giovanissimi Bernardo Cavallino e Micco Spadaro, il narratore Giovan Battista Basile, il vicerè Duca di Alcalà o il caporuota della Vicaria criminale, l’avvocato Scipione Rovito, si muovono e agiscono figure inventate ma verosimili, coerenti nel loro modo di pensare e di comportarsi alla realtà del momento storico. Ed è una carrellata di popolani generosi e nobili corrotti, commedianti e briganti, figure di religiosi che rappresentano i vari aspetti della spiritualità, monaci studiosi, preti depravati, sacerdoti generosi e santi che appaiono e scompaiono come spettri inquietanti. Intorno, il popolo napoletano, vociante e variopinto, infuriato o rassegnato e la città, il microcosmo complesso e articolato di Napoli, che sa tenere insieme, con un filo logico e sorprendente, “i fasti e i misfatti, la miseria e la nobiltà, l’hic et nunc e l’infinito, la luce e l’ombra, il rigore e la fantasia, l’individualismo e il valore della collettività” in cui “domina il chiaroscuro e si concilia l’inconciliabile”. Nell’oscurità dei vicoli che si aprono improvvisamente sulla luce di piazze e slarghi, c’è sempre qualcosa che sfugge, labile e indefinibile, così da rendere Napoli sempre nuova e inaspettata ogni volta che la si rivede. Dal punto di visto stilistico, il romanzo è spesso caratterizzato da ampie rappresentazioni di paesaggi che hanno la funzione di “incorniciare” l’azione e da minuziose, dettagliate descrizioni di oggetti, arredi, abiti d’epoca . Il linguaggio è di registro alto, elevato, letterario, anche quando l’autore descrive momenti e personaggi popolari, riproducendo il più fedelmente possibile quello parlato nell’epoca in cui si svolge la vicenda. La città è protagonista con Artemisia, di cui lo scrittore non nomina mai il cognome, ma che si riconosce dagli indizi disseminati nella storia, come la famosa pittrice Gentileschi. Insieme si muovono nelle pagine, mutano, trasmettono emozioni, cambiano, si trasfigurano in passione e creatività, amore passionale e materno, coraggio e impudenza. Dell’intricata vita dell’artista, l’autore circoscrive il periodo napoletano del quale, nonostante la grande fama, sono rimaste poche testimonianze documentate. Artemisia giunse a Napoli nell’estate del 1630, sperando di ottenere nella capitale del viceregno spagnolo, in quella città fiorente di cantieri e di appassionati di belle arti, nuove e più ricche possibilità di lavoro. La Napoli del tempo era la seconda metropoli europea per popolazione dopo Parigi, caratterizzata da un ricco ambiente culturale e da un grandissimo fervore artistico che aveva attirato nomi illustri, da Caravaggio, a Simon Vouet, da Annibale Carracci a José de Ribera. Tranne una breve parentesi inglese e qualche trasferimento temporaneo, la donna vi dimorò per il resto della sua vita, facendone una sorta di seconda patria nella quale curò la propria famiglia, maritando con appropriata dote, le sue due figlie, ricevette attestati di grande stima e importanti commesse, fu in buoni rapporti con la Corte, alla pari con i maggiori artisti. Bruno Sacco immagina per Artemisia una passionale storia d’amore con un nobile spagnolo e un complotto intrigante e, soprattutto, narra il suo dramma interiore di donna e di artista. I momenti tragici e difficili della sua vita trapelano dai ricordi e dai pensieri della protagonista, resi dall’autore con sapiente spessore introspettivo. Lo stupro subito, il vergognoso processo, il matrimonio riparatore con un uomo mai amato, si avvicendano alla sua bravura di artista, all’ispirazione feconda, alla fama. Un personaggio controverso, spesso etichettato come una sorta di femminista ante litteram, perennemente in guerra con l’altro sesso e capace di incarnare il desiderio delle donne di affermarsi. Una lettura spesso a senso unico e ambigua che ridimensiona i meriti professionali subordinandoli alle vicende umane. Secondo Dora Lessing, “Non c’è dubbio: la narrativa fa un lavoro migliore della verità” e Bruno Sacco restituisce in questa vicenda romanzata il valore creativo dell’ispirazione di Artemisia, indaga i suoi dubbi, le sue fragilità, le sue speranze, il bisogno di successo professionale che si scontra con il desiderio profondo di amore, con il sentimento materno, con la volontà di conciliare le diverse anime che compongono la personalità femminile, frantumate dal costante atteggiamento discriminatorio della società. L’Artemisia di Bruno Sacco è intensamente femminile nella sua bellezza fisica e intellettuale, nella sua tensione spirituale ed emozionale ed è facile conquistare la curiosità del lettore che sorge fin dalle prime pagine e lo avvinghia con la concatenazione degli eventi e delle impressioni, così che non si riesce a smettere di domandarsi cosa succederà dopo. Nello stesso tempo la storia ci induce, inevitabilmente, a riflettere sulla moderna condizione femminile che, nonostante le numerose conquiste, resta ancorata a stereotipi anacronistici e illogici. Infondo, “una buona storia abbacina sempre più di un frammento di verità”.