Il 15 settembre 2008, il detonatore della Lehman Brothers fa esplodere l’ala finanziaria dell’edificio Economia Manageriale. L’onda d’urto che ha ripercussioni su tutta l’economia toglie il primato al Management e lo assegna all’Imprenditorialità. Pochi mesi dopo, il 12 marzo 2009,The Economist dedica un lungo articolo alla società imprenditoriale emergente. L’ascesa dell’imprenditore – scrive il più importante settimanale economico britannico -, che è andata accelerandosi negli ultimi 30 anni, non riguarda soltanto l’economia. Essa riflette anche profondi cambiamenti a 360 gradi, dalle carriere dei singoli al contratto sociale. Quell’ascesa segnala la nascita di una società imprenditoriale. Si tratta di una vera e propria rivoluzione che esplode quando la generazione del nuovo millennio si affaccia sulla scena mondiale. Così The Economist continua la sua analisi: “‘Ogni generazione ha bisogno di una nuova rivoluzione’, così Thomas Jefferson ha scritto verso la fine della sua vita illustre. La rivoluzione per la generazione attuale è quella imprenditoriale. Una rivoluzione che reca con sé una grande quantità di perturbazioni rese più drammatiche dalla crisi in corso. Una rivoluzione che sta producendo qualcosa di straordinario: la mobilitazione di più cervelli, in più paesi e in modi più creativi, per aumentare la produttività e risolvere i problemi sociali. La ‘burrasca’ [delle innovazioni] celebrata da Schumpeter ci sta sospingendo, in maniera un po’ brusca, verso un posto migliore”. La società imprenditoriale ha sconvolto la composizione e la posizione dei personaggi che animano il quadromacro-economico. Quando nel luglio del 1973 la Divisione di Prospettive Economiche dell’Ocse pubblicò uno studio su The Measurement of Domestic Cyclical Fluctuations, il prodotto potenziale di ciascun paese membro venne misurato ricorrendo all’ammontare dell’occupazione (E), delle ore lavorate (h) e del capitale fisico in uso (Cu). Aquesti tre indicatori principali se ne aggiungeva un quarto, il trend del tempo (t) che rappresentava una proxy del progresso tecnologico non incorporato nel lavoro, nel capitale o in entrambi. Se non proprio come un fattore residuo, “t” era visto nelle vesti dell’attore di spalla che sostiene la prestazione dei grandi protagonisti – il capitale e il lavoro: il che equivale a dire soprattutto la fabbrica e l’occupazione alle dipendenze a tempo pieno dominanti nell’età manageriale della società industriale nel corso dei primi tre decenni del dopoguerra. Oggi, nella società dell’imprenditorialità, “t” è il vero protagonista visto, però, in una nuova veste: non solo, come progresso tecnologico scorporato, ma anche e soprattutto come immaginazione, intuizione, creatività e capacità di fare grandi cose individualmente e “in folla” con altri – dal crowdsourcing e crowdfunding e altri tipi di “folla”. Sarà questa la folla che travolgerà il Bazar delle Follie?