Le virtù economiche dell’estetica
Toscani e De Masi sulla bellezza

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L’estetica è il terzo approdo salvifico per le sorti del Mezzogiorno, dopo etica ed economia, ancore necessarie per lo sviluppo meridionale fissate nel bacino di idee attraversato da “Napoli 2020”, tavola rotonda promossa da Il Denaro e dalla Matching Energies Foundation. Obiettivo: scuotere l’economia del Mediterraneo partendo dal ruolo centrale di una Napoli positiva, desiderosa del giusto riscatto, dell’evoluzione a città metropolitana. Se dai confronti estivi, a giugno, è emerso il “Manifesto di Ischia” per un futuro contro i troppi mali endemici – clientelismo e rassegnazione in primis – il dibattito, giovedì scorso, ha tagliato il suo traguardo conclusivo su un quesito cruciale: “La bellezza salverà l’impresa?”. A rispondere una squadra di personalità chiamata ad immaginare orizzonti inediti per il Sud da Alfonso Ruffo, direttore del Denaro, e Marco Zigon, presidente della Matching Energies. Conversazioni all’Hotel Vesuvio smosse da due ospiti d’onore, il fotografo Oliviero Toscani e il sociologo Domenico De Masi. Si parla di Napoli, dei suoi pregi e delle sue “croci”, dalla prospettiva delle accezioni di bello, quello immateriale e tangibile, l’arte e l’architettura, la moda e il lusso. “La bellezza in Italia è influenzata dalla cultura della nostra inciviltà – commenta Toscani -. Certo, esistono delle eccellenze ma il resto? Un disastro. Non sono un pessimista, anzi, ma come uomo di immagine ho sempre avuto a che fare con imprenditori che creavano ostacoli e ponevano limiti. E non c’è nulla di peggio del lavorare senza armonia. Esiste un rapporto diretto tra potere/impresa e arte della comunicazione. Del resto cos’è la bellezza se non comunicazione? Il potere ha bisogno di comunicazione per imporsi e l’arte ha bisogno del potere per potersi esprimere. Senza committenza, con la ‘carta bianca’ non si fa nulla ma è pur vero che le aziende impongono ai creativi di non rischiare, di cercare ossessivamente il consenso, la strada diretta per la mediocrità. Non si può essere creativi, proporre qualcosa di nuovo ed essere contemporaneamente sicuri. Le imprese quindi devono avere il coraggio di scommetere sull’insicurezza altrimenti otterranno una copia del già fatto”. La nostra città conserva, tuttavia, una scintilla di vitalità. “A Napoli c’è un indubbio fermento – aggiunge il fotografo -, conosco direttamente molti imprenditori partenopei che investono, la città si riprende poco alla volta senza rinunciare alla sua unicità, insomma resta se stessa, si migliora ma non diventa Ginevra, il che sarebbe un disastro. Ma Napoli siamo anche tutti noi italiani, corrotti, corruttori e corruttibili. E, soprattutto, morfologicamente e visivamente vecchi. Sono pochi gli italiani che si guardano allo specchio e si sentono giovani. Siamo vecchi e questa immagine dell’italiano attempato si è diffusa nel mondo, simbolo di uno stato d’animo collettivo, della nostra abdicazione alla bellezza e al futuro mentre continuiamo a parlare del passato. Ci mettiamo il rossetto ma manteniamo le mutande sporche. E Napoli ha tante mutande nascoste da pulire, pensiamoci prima di badare al rossetto. Ognuno di noi deve fare un esame di coscienza e domandarsi: io da che parte sto? Dobbiamo recuperare l’entusiasmo di vivere la bellezza. E sono felice che questa iniziativa nasca a Napoli. L’energia che Napoli ha esportato a New York, la gioia del bello portata dai wop, dagli analfabeti di un tempo, dov’è? Dove è andata a finire? Quanta responsabilità generazionale c’è in tutto questo? Dobbiamo chiedercelo. E dopo la bellezza sarebbe interessante rilanciare un tema più incalzante: l’audacia”. Il mondo, non solo quello imprenditoriale, sarà, in ogni caso, tratto in salvo dalla bellezza. Parola di De Masi che approfondisce l’inafferrabilità del bello. “La bellezza – sottolinea il sociologo – ha una natura ambigua, è insieme rivoluzione e organizzazione. E sette sono gli elementi che incidono sulla bellezza da tradurre in risorsa economica: il clima, i luoghi, i monumenti, i prodotti, i processi di produzione, il fascino, anche fisico, degli abitanti e la qualità di vita. È importante quindi il contesto complessivo in cui emerge la bellezza, la possibilità di mutarla in capitali dipende da tutti questi aspetti. Su molti punti siamo ‘messi bene’, come le bellezze naturali, ma non dobbiamo illuderci perché molte le abbiamo depredate. A Napoli dobbiamo imparare a sfruttare l’essenza del bello, ossia l’organizzazione, nostra enorme carenza. E, soprattutto, a dare coerenza a tutti gli spezzoni di un sistema che diventa bello se ogni sua parte ha un senso, se è stretta in un rapporto organico con il tutto. Gli intellettuali non sono riusciti ad elaborare un modello capace di mettere in unità le varie distonie di Napoli e probabilmente saremo imputati dai nostri nipoti per come sono andate le cose. Negli ultimi dieci anni Napoli è andata dietro di venti punti sullo sfondo della decrescita generale italiana. Dobbiamo puntare – conclude De Masi – sul recupero delle radici localistiche perché occorre sempre associare un prodotto a una storia per decretarne il successo. E diffondere il senso del tempo che la nostra città non possiede affatto, una terribile disgrazia sociologica perché nel mondo globalizzato se un progetto non si favorisce in un luogo, se non si sfrutta il momento giusto, si realizza altrove e rapidamente. Con una consapevolezza: la creatività è capricciosa”.