La libertà non ha orari

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La società è cambiata, imporre la chiusura non aiuterà i piccoli negozi (ma solo l’online).
Le conseguenze della bozza di legge supportata da alcuni confusi personaggi anacronistici e proposta da certi demagoghi parlamentari italiani sono letali per le libertà dei cittadini e per l’economia del paese in cui viviamo (e lavoriamo ancora): le chiusure nei giorni festivi comporterebbero la perdita di oltre 40.000 posti di lavoro, per non parlare del notevole impatto negativo sui consumi e l’incoraggiamento alle vendite on-line, che ovviamente portano meno occupazione rispetto alle vendite fisiche. Gli ultimi dati (di recente presentati anche da Massimo Moretti, presidente del Consiglio nazionale dei centri commerciali) ci dicono che i consumi domenicali rappresentano il 18% dell’intero fatturato dei centri commerciali: ciò andrebbe perso, e per giunta in un momento di recessione del Paese. Con le eventuali chiusure domenicali andremmo a ridurre la libertà di scelta di oltre 6 milioni di italiani che ogni domenica scelgono di trascorrere il loro tempo in questi luoghi anche di aggregazione, con tutta la famiglia. I centri commerciali sono tra le nuove piazze italiane, in particolar modo nelle aree più periferiche: posti sicuri, puliti, condizionati, dove poter consumare un pasto a prezzi ragionevoli, dove l’offerta di servizi e intrattenimento è sempre più varia. È una scelta libera che i cittadini hanno: così come andare al parco, in un museo, al cinema, al ristorante o in pizzeria con gli amici, anche la domenica. Il punto non è nemmeno solo vendere di più bensì rispondere meglio a chi ha bisogno di più tempo per fare acquisti, e in questo senso gli effetti sono stati evidenti visto che le indagini di questi anni provano che due italiani su tre fanno la spesa di domenica.
Tornare alle chiusure domenicali creerebbe un disagio enorme ad un’intera popolazione che ha assunto – e scelto con piacere – di cambiare le proprie abitudini di acquisto per motivi evidenti. Basti pensare alle mamme con figli piccoli e poco tempo a disposizione durante la settimana (perché fortunatamente al lavoro) quindi con la necessità di fare acquisti di domenica, diversamente da quanto accadeva in anni in cui il modello sociale considerava per la donna il solo ruolo di casalinga ed addetta alla spesa mentre al marito quello di lavoratore responsabile unico del reddito familiare. Ci piaccio o meno, quel modello non esiste più, le famiglie sono cambiate e per loro fare la spesa alle otto di sera o la domenica evidentemente funziona. E siccome l’apertura di negozi la domenica non è d’obbligo ma è facoltativa, perché impedire a chi vuole stare aperto di incontrare la domanda di chi vuole o ha bisogno di comprare nei giorni festivi?
La liberalizzazione del commercio, rispetto agli obblighi di chiusura è, per l’appunto, una facoltà, quindi si contrappone a un divieto. L’esercente (grande, piccolo, medio, in città, in campagna, in provincia o in una metropoli) sceglie quando aprire. Quando c’è un divieto non può scegliere, qualcuno da un ministero romano impone la stessa regola sia all’esercente di Salerno o Milano che fa magari più affari in alcuni momenti dell’inverno o dell’estate sia a quello di Foggia o Piacenza, con differenti esigenze, clientele e capacità di servire il consumatore. Perché un politico dovrebbe scegliere – al posto del commerciante – quando alzare la saracinesca? Perché dovrebbe saperne di più dell’imprenditore?
È una regola di dettaglio, ma dietro c’è un principio di libertà. Perché imporre la chiusura?
Riguardo al fatto che esistono casi di abusi verso i lavoratori, per i lavoratori le tutele già ci sono, ma non sono sempre rispettate. Quindi rispettiamo l’esistente, così i lavoratori sarebbero tutelati, ovviamente però in un modello sociale che non è più quello degli anni Cinquanta, ma del Duemila. Sono ormai in tanti coloro che sono stati felicemente assunti per lavorare solo nel fine settimana. Se ci sono commercianti che sfruttano i dipendenti, allora si denuncino agli ispettorati del lavoro, certo non chiudendo negozi e fabbriche.
Un altro timore molto forte per il paese è il rischio di perdere ulteriore competitività e interesse da parte degli investitori internazionali che troveranno una ragione in più per evitare gli investimenti in Italia. E non ce lo possiamo permettere, se vogliamo invertire la rotta di un declino economico che intacca la vita delle persone, distruggendo lavoro e futuro.
La proposta del Governo di chiudere i negozi la domenica è un ritorno all’età della pietra, spiega anche Massimiliano Dona, segretario nazionale della Unione Consumatori. I dati sulle chiusure dei piccoli negozi snocciolati da Confeserecenti non dipendono certo, come vorrebbero farci credere, dalle aperture domenicali, ma dal fatto che le famiglie hanno finito i soldi e ridotto i consumi al minimo. Non è certo chiudendo i negozi che aumenteranno le vendite, bensì facendo il contrario.
Resistiamo alle demagogiche speculazioni che credono di poter trarre qualche consenso nel modificare una norma che sancisce la sacrosanta libertà d’impresa senza vincoli anacronistici e restrizioni tipiche di un’economia dirigistica che non funziona (e non ha mai funzionato) in nessun paese al mondo.
Continuiamo a preferire le libertà, difendendole e valorizzandole per crescere, non mortificandole e riducendole per decrescere.

@antonluca_cuoco