Imprenditorialità e business

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Imprenditorialità e business non sono sinonimi. A differenza di quest’ultimo, l’imprenditorialità non riguarda unicamente la prosperità materiale. Essa è un modo di percepire il mondo che contribuisce al più vasto disegno della società. L’imprenditorialità non è un macchina costruita seguendo i precetti e gli standard imposti da uno o un altro modello di business. Essa è una forma d’arte che, afferrata una o più idee, cioè una o più chiavi che aprono le porte del futuro, ne immagina la trasformazione in quell’opera che prende il nome di impresa. L’immaginazione dell’imprenditorialità è illimitata, mentre il business si muove dentro i confini della conoscenza ricevuta. Parafrasando Isaac Newton, potremmo anche dire che l’imprenditorialità è un organismo vivente in guisa di una fanciulla che gioca sulla spiaggia, mentre vasti oceani di opportunità giacciono inesplorati davanti a lei, oppure in forma di albero i cui rami ingrandiscono e si ramificano in alto, verso nuove direzioni. L’albero dell’imprenditorialità dà piacere a vederlo e scalarlo, a tutte le età e con ogni temperamento.

Chi coltiva la passione per l’imprenditorialità agisce mosso da princìpi che sono allo stesso tempo utilitaristici e di piacere – quel piacere che è dato dal perseguimento dei propri sogni sviluppando pienamente il proprio potenziale. C’è di più. Secondo questa visione, l’imprenditorialità abbraccia l’utilitarismo predicato dal filosofo ed economista britannico John Stuart Mill. Vale a dire che il perseguimento della felicità personale non va a discapito della felicità sociale. Insomma, l’imprenditorialità è meno individualista di quanto comunemente si è propensi a credere. Dipendendo dalla cultura e dal modo di condurre la vita sociale ed economica, un paese, una regione, una comunità può agire imprenditorialmente. Così si esprimeva l’economista austriaco Joseph Schumpeter. Ciascun filo imprenditoriale aumenta la densità della sua rete che, però, non si estende simmetricamente. Alcuni luoghi sono favoriti più di altri perché non alzano barriere culturali né impongono regole per isolarsi.

Come potrebbe dire il filosofo cinese Lao Tzu, l’imprenditorialità è l’argilla che modella il vaso del business il cui uso a fini di crescita economica non disgiunta dal benessere e dalla felicità dipende dal vuoto interno che si riesce a creare. Il business nelle successive tappe dell’industrializzazione quel vaso l’ha riempito interamente con l’idolo del profitto, la tirannia degli azionisti e la falsa amabilità del persuasore occulto. Il profitto è diventato il fine, non il mezzo dell’attività d’impresa. Gli azionisti hanno preteso che il business operasse per la massimizzazione del valore a loro favore. Conseguentemente, non è la performance del business a farla da padrone; lo sono, invece, gli utili contabili e il prezzo delle azioni, entrambi soggetti a manipolazione, come ha scritto Martin Wolf sul Financial Times. I messaggi pubblicitari sono il persuasore occulto, stimolatore di desideri inconsci o repressi che una volta tradotti in consumi esalterebbero la felicità personale.

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