In Italia un bambino su 3 è povero
Aumenta il disagio nei Paesi ricchi

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Secondo uno studio dell’Unicef l’Italia si colloca al 33° posto sui 41 Stati dell’Unione Europea e dell’Ocse, ossia nella terza fascia inferiore della classifica sulla povertà infantile. E’ stato presentato ieri Secondo uno studio dell’Unicef l’Italia si colloca al 33° posto sui 41 Stati dell’Unione Europea e dell’Ocse, ossia nella terza fascia inferiore della classifica sulla povertà infantile. E’ stato presentato ieri a Roma il Report Card n. 12, dal titolo “Figli della recessione. L’impatto della crisi economica sul benessere dei bambini nei paesi ricchi”. L’evento è stato ospitato dalla Presidenza Italiana del Consiglio UE e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. La serie Innocenti Report Card, curata dall’Office for Research Innocenti – il Centro Studi internazionale dell’Unicef, con sede a Firenze – concentra da anni la propria analisi sul benessere dell’infanzia e dell’adolescenza nei paesi industrializzati. Il tasso di disagio minorile è aumentato di circa 6 punti percentuali tra il 2008 e il 2012, attestandosi al 30,4%. Ciò corrisponde a un incremento di circa 600.000 unità. Nei cinque Stati posizionati in fondo alla classifica, si è avuto un’aumento di almeno 10 punti. In oltre metà dei Paesi ad alto reddito nel mondo, 1 bambino su 5 vive in povertà. Ma in Italia il rapporto è di 1 bambino su 3. Guardando alla riduzione nel reddito dei nuclei familiari dal 2008 al 2012, il nostro Paese ha perso l’equivalente di 8 anni di progressi economici. Il 16% dei bambini italiani vive in condizioni di grave deprivazione materiale, ossia in famiglie che non sono in grado di permettersi almeno 4 delle nove voci seguenti: . pagare l’affitto, il mutuo o le utenze . tenere l’abitazione adeguatamente riscaldata . affrontare spese impreviste . consumare regolarmente carne o proteine . andare in vacanza . avere un televisore . avere una lavatrice . possedere un’auto . possedere un telefono. La profondità del disagio infantile è aumentato. Il divario è cresciuto di 3,6 punti: nel 2012 i bambini di famiglie a basso reddito sono, in media, più distanti dalla soglia di povertà di quelli che risultavano in difficoltà nel 2008. Inoltre, occupiamo il 37° posto nella classifica relativa ai Neet (tutti i giovani dai 15 ai 24 anni che non studiano, non lavorano e non seguono corsi di formazione). La quota di Neet fra i giovani è aumentata di quasi 6 punti, raggiungendo il 22,2%. Si tratta del tasso più alto dell’Unione. La disoccupazione giovanile è aumentata di quasi 19 punti dal 2008, con il 40% dei giovani (15-24 anni) senza lavoro nel 2013. Questi numeri ci collocano al 36° e al 38° posto (rispettivamente come variazione nella disoccupazione giovanile dal 2008 e nel tasso di disoccupazione tra i giovani nel 2013). Un altra graduatoria, relativa ai cambiamenti nella percezione della vita dei singoli individui, ci vede al 24° posto. Dei 4 indicatori di cambiamento che gli intervistati hanno descritto rispetto al proprio benessere, il miglior punteggio arriva dalle opportunità per i bambini di imparare e crescere (8° posto). Il peggiore riguarda la soddisfazione nei confronti della vita (36° posto). Tutti gli indicatori, tranne il primo, sono peggiorati tra il 2007 e il 2013. Per l’Unicef le uniche note positive arrivano dalle agevolazioni per le famiglie: nel 2013 è stato introdotto un voucher per la cura dei figli, destinato alle madri che non utilizzano il congedo parentale. Dal 2014, i sussidi in denaro alle famiglie a basso reddito sono stati estesi agli immigrati. Nel resto dei Paesi sviluppati la situazione non è certo migliore. L’analisi rileva che, dal 2008, 2,6 milioni di bambini dei Paesi ad alto reddito sono scivolati sotto la soglia di povertà. Si stima che oggi, i minori che vivono in una condizione di disagio nel mondo sviluppato, siano saliti a 76,5 milioni. Dal 2008, in 23 dei 41 Stati esaminati, la povertà infantile è aumentata. In Irlanda, Croazia, Lettonia, Grecia e Islanda i tassi di povertà sono aumentati di oltre il 50%. Nel 2012 in Grecia il reddito medio dei nuclei familiari con bambini è ritornato ai livelli del 1998 (l’equivalente di una perdita di 14 anni di progresso in termini di reddito). Secondo questa rilevazione l’Irlanda, il Lussemburgo e la Spagna hanno perso un decennio, l’Islanda ha vanificato 9 anni e l’Italia, l’Ungheria e il Portogallo ne hanno persi 8. La recessione ha colpito duramente i giovani tra i 15 e i 24 anni, con un numero di Neet che è cresciuto in molti Paesi. Nell’Unione Europea, prendendo in esame lo scorso anno, 7,5 milioni di giovani sono classificati come Neet (quasi l’equivalente della popolazione della Svizzera). In 18 dei 41 Stati presi in esame la povertà infantile è invece diminuita, talvolta in modo marcato. Australia, Cile, Finlandia, Norvegia, Polonia e Slovacchia hanno ridotto i livelli di disagio del 30%. In alcuni Paesi, all’inizio della crisi i programmi di incentivi sono stati efficaci, al fine di proteggere i più piccoli dai peggiori effetti della recessione. A partire dal 2010, gran parte degli Stati hanno capovolto i loro bilanci, passando da politiche espansive a drastici tagli. Questo andamento ha avuto un impatto negativo su infanzia e adolescenza, soprattutto nella regione del Mediterraneo. “Molti Paesi ricchi hanno compiuto un grande passo indietro in termini di reddito, con ripercussioni a lungo termine per i bambini, per le famiglie e per le comunità” commenta Jeffrey O’Malley, direttore della divisione Statistiche, Ricerche e Analisi dell’Unicef. “La ricerca dell’Unicef – sottolinea O’Malley – mostra che la forza delle politiche di protezione sociale sarebbe stata un fattore decisivo per prevenire la povertà. Tutti i paesi hanno bisogno di forti reti di sicurezza sociale per la protezione dei bambini sia durante congiunture negative sia positive, e i Paesi ricchi dovrebbero fare da esempio impegnandosi esplicitamente per eliminare la povertà infantile, sviluppando politiche per controbilanciare la regressione e facendo del benessere infantile la prima priorità. Il rapporto mette in evidenza, e lo fa in modo significativo, che le risposte di politica sociale dei paesi con condizioni economiche simili sono cambiate sensibilmente, con impatti diversi sui bambini”.