Nel regno delle perle dominano i napoletani

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A cura di Alfonso Vitiello Nel lussuoso negozio di Kochiki Mikimoto, amico di famiglia, alla Ginza – una specie di Cartier di New York o di Furst di Via Veneto -, le A cura di Alfonso Vitiello Nel lussuoso negozio di Kochiki Mikimoto, amico di famiglia, alla Ginza – una specie di Cartier di New York o di Furst di Via Veneto -, le perle coltivate hanno più fascino dei brillanti: spiccano su piccoli riquadri di velluto cremisi, di un rosa pallido che si confonde con un verdolino petrolio, sbiadito ma brillante. Sono perle coltivate che possono superare il valore di un gioiello. Un commesso me ne mostra una più grande di un cece, asimmetrica, con una goccia di madreperla che le dà una forma ovale, appuntita alla base. Il suo valore è molto alto. Che un prezioso in parte creato dall’uomo raggiunga tali cifre è un miracolo che non si deve solo a Mikimoto, ma a tutti i giapponesi. In questo paese l’imitazione è un’arte. I giapponesi non si sono mai sognati di perdere tempo a creare il disegno, si preoccupano solo di riprodurlo in milioni di esemplari a prezzi più bassi. Di Mikimoto si dice che insegnò alle ostriche come imitare le perle… Se a Mikimoto spetta il merito di aver perfezionato il sistema di coltivazione delle perle e di averne affermato il gusto nel mondo, ai napoletani va riconosciuto di essere stati i pionieri della commercializzazione e dell’esportazione di perle coltivate dal Giappone all’Italia e di coralli lavorati dall’Italia verso Nord America ed Europa. Non si sa esattamente a quando risalga il debutto napoletano, anzi dei torresi, nel traffico delle perle e dei coralli. La mia famiglia si stabilì a Tokyo e Kobe già prima della guerra per mandare a Torre del Greco le perle e i coralli. A Kobe i miei presero casa e aprirono uffici diventando pionieri nella commercializzazione di perle e coralli dal Giappone alle Indie, passando attraverso gli Usa ed infine arrivando in Europa e in Italia. Elessero il Giappone come seconda patria e i giapponesi non tardarono a ricambiare, a partire dal mitico Kokichi Mikimoto: una collaborazione che contribuì allo sviluppo economico delle perle, tanto che il Governo riconobbe la famiglia napoletana come vera amica del Sol Levante per l’aiuto dato nel risollevare il comparto messo in ginocchio dalla guerra. Il mercato delle perle e dei coralli in Giappone è tuttora molto fiorente e la domanda cresce di giorno in giorno: si passa dalla classica collana al gioiello montato in oro e brillanti con l’aggiunta di perle. Il design e il “well done Italy” è preferito dai consumatori finali del Sol Levante: il nostro gusto e la nostra inventiva, il talento di maestri gioiellieri del distretto orafo che va da Torre del Greco al Tari di Marcianise rappresentano un plus a favore del prodotto finito e lavorato in Italia. Si consiglia alle aziende campane di avviare una seria ricerca di mercato magari sotto la guida dell’Italian Trade Commission e rafforzare le presenze sul mercato nipponico attraverso fiere come l’International Jewellery of Tokyo (a gennaio) mantenendo alto il livello del design e del gusto italiano. I giapponesi non mancheranno di ricambiare. Fidatevi.