Rubens torna a casa, ma senza interpretazione

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A Natale siamo tutti più buoni, siamo pieni di immagini che inneggiano alla famiglia e alla casa come suo punto d’aggregazione. Poteva Palazzo Zevallos di Stigliano ignorare l’input proveniente da un mondo che si addobba, e si prepara alla festa simbolo di tutta la civiltà occidentale? Mai. Cosa c’è di più natalizio che proporre al pubblico una mostra di opere che dopo aver messo radici in musei e gallerie del mondo, ritrovano la strada di casa, e riprendono possesso degli spazi che qualche secolo fa erano i propri? Ecco l’input interpretativo che la mostra: “Rubens, Van Dyck, Ribera. La collezione di un principe”, al secondo piano dell’antico palazzo, offriva agli allestitori. Le opere senza possibilità d’errore sono capolavori. I nomi degli autori sono un richiamo importante per chi è esperto di pittura e anche per chi invece ne è solo incuriosito. Opere d’arte comesepiovesse, dunque. Ottimo. La gioia del ritorno, della ripresa di possesso, se pur temporaneo, degli ambienti da parte delle opere che vi abitarono però non si percepisce. Eppure il tema del ritorno ha costruito momenti dal segno fortissimo in storia, letteratura e arte. il “ritorno d’Egitto”. Napoleone torna dalla campagna d’Egitto e l’arte si arricchisce di elementi decorativi tipicamente egiziani. Il ritorno a forme classiche dopo le esagerazioni del barocco, il ritorno del papa da Avignone a Roma. Il ritorno in sede di opere che sono state restaurate, che sono state esposte in giro per il mondo. Un opera d’arte che torna a casa suscita sempre un attenzione particolare. La ripresa di un antica disposizione, il rinnovato possesso di spazio. Palazzo Zevallos piano secondo, qui tutto tace. Le opere sono esposte senza evidenziare se la posizione attuale sia quella antica o meno, se la logica espositiva abbia tenuto conto o meno dell’antica disposizione. Un ombra sul muro, proprio quella che un quadro staccato dalla parete dopo tanto tempo lascia, racconta tante storie. Non un fruscio che riporti ad una data, alla vendita del palazzo ai nuovi proprietari. Silenzio. In fin dei conti al secondo piano di Palazzo Zevallos o al primo, o al piano terra, potrebbero trovarsi dovunque, meravigliose nel loro splendore ma senza coinvolgere il visitatore con la storia che potrebbero raccontare, semplicemente perché non la raccontano. Stretti rapporti di parentela legavano la famiglia Vandeneynden, proprietaria prima dei Zevallos, a quelle di diversi artisti delle Fiandre attivamente impegnati anche nel mercato dell’arte. La rete di relazioni, di cui furono partecipi anche Rubens e Van Dyck, favorì la formazione di questa raccolta. C’erano tutti i rapporti artistici e culturali intercorrenti all’epoca tra il Nord e il Sud dell’Europa. Tutto questo però nell’esposizione non c’è e questo fatidico ritorno a casa non si capisce se non leggendo qualche spiegazione sommaria. Nessun visitatore, napoletano o straniero potrà provare il senso di questo ritorno, dell’appartenenza al luogo di queste opere che potrebbero tranquillamente non essere mai state a Napoli. La frequenza dei visitatori alla mostra, specialmente nel periodo natalizio, sicuramente farà registrare dati interessanti, ma la stessa mostra organizzata sottolineando il tema del ritorno, ipotizzando la vecchia disposizione e creando l’emozione di un viaggio a ritroso nel tempo, avrebbe sbancato stimolando l’osservatore a individuare in ogni opera, quale aspetto del suo culto dell’antichità Rubens avesse osservato: il serbatoio di lezioni morali, o l’autorizzazione a citare la mitologia. Allestire una mostra non è appendere quadri a una parete con qualche logica più o meno evidente. E’ ricreare per le opere l’ambientazione necessaria ad amplificare al massimo l’emozione che nasce dalla loro osservazione.