Violenza sulle donne, l’Unione Induista italiana: allarme per i migranti 

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Un inno all’aspetto femminile del Divino e il dono di un fiore a ciascuna donne per dire no alla violenza. “Una rosa per dire no” è lo slogan dell’iniziativa promossa dal’Unione Induista Italiana (Uii), in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle Donne. E l’Uii nel contempo lancia un allarme anche per la violenza crescente in molti ambiti della comunità femminile immigrata. Le comunità si riuniranno a partire dalle 16.00 dove si svolgerà la consueta funzione religiosa, puja, che terminerà con l’omaggio di una rosa alle donne presenti e con un inno in segno di rispetto e di nonviolenza verso ogni essere. Hanno aderito all’iniziativa tutti i templi da Trento a Palermo, passando per la comunità di Brescia, Parma, Cremona, Novellara, Milano, Mantova, Genova, Altare, Roma, Napoli, Bari e Palermo. “La violenza può essere fisica, verbale o psicologica, ma una rosa è sempre segno di gentilezza. A questa nostra iniziativa hanno aderito braccianti di Latina, mungitori dell’Emilia, operai, commercianti e professionisti: uomini! Domenica li vedrà tutti testimoni di un gesto simbolico forte e gentile” ha detto Svamini Hamsananda Ghiri, guida spirituale dell’Uii.
Una violenza crescente in molti ambiti della comunità femminile immigrata, con condizioni che hanno recentemente registrato, in certi ambiti, dati inquietanti. “Per le donne le esperienze di sfruttamento e ricatto sono più estreme. Mentre infatti per gli uomini le retribuzioni sono di tre euro in media per un’ora di lavoro, per le donne si arriva a 1,5-2 euro. Le lavoratrici migranti, inoltre, sono soggetti a ricatti raccapriccianti come quelli di carattere sessuale e di licenziamento se non si soddisfano le ansie sessuali del padrone o del caporale di turno” ha denunciato Marco Omizzolo, sociologo e responsabile scientifico della cooperativa “In Migrazione”.
Molto critiche le situazioni riscontrate nelle campagne italiane: emblematiche le molte storie delle lavoratrici rumene a Ragusa, in Sicilia, come anche i casi registrati in Calabria, Puglia, Campania e in provincia di Latina. Le donne asiatiche impiegate in agricoltura in provincia di Latina, ad esempio, percepiscono retribuzioni inferiori del 50% rispetto ai colleghi uomini e vivono condizioni di irregolarità contrattuale estreme. Situazioni che sono difficili da far emergere e che solo una ricerca attenta e servizi sociali molto professionali possono intercettare. Le difficoltà sopraggiungono anche in ragione del fatto che molte lavoratrici ricattate o violentate sono madri e questo le rende assai più restie alla denuncia avendo come obiettivo primario quella della tutela del figlio/a sotto qualunque punto di vista.