Viaggi Spaziali, stampa in 3D di ossa e pelle per gli astronauti del futuro

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Gli astronauti che si avventureranno nello spazio profondo potrebbero contare in futuro su trattamenti medici basati sull’utilizzo di pelle e ossa stampati in 3D e, un giorno, anche di interi organi. Esperti nel settore del bioprinting 3D si sono ritrovati nel centro Estec dell’Agenzia spaziale europea a Noordwijk, nei Paesi Bassi, per un workshop di due giorni in cui è stato fatto il punto sulla ricerca in questo campo, che vede impegnata anche l’Esa. L’Agenzia, infatti, guida un progetto che sta studiando la possibilità di utilizzare la biostampa 3D per supportare il trattamento medico di spedizioni spaziali di lunga durata e insediamenti planetari (3D Printing of Living Tissue for Space Exploration). Se agli astronauti dell’Apollo per circa 12 giorni di viaggi sulla Luna è bastata una piccola borsa medica con bende, cerotti e aspirina i futuri viaggiatori spaziali, isolati per mesi o anni lontano dalla Terra, avranno bisogno di un supporto medico molto più grande e più flessibile. Allo stesso modo in cui le stampanti 3D standard utilizzano materie plastiche o metalli per costruire oggetti tridimensionali, le biostampanti 3D utilizzano “bioinchiostri” basati su cellule umane e i nutrienti e i materiali necessari per la ricrescita di tessuto corporeo come pelle, ossa e cartilagine. “Impalcature” (scaffold) temporanee – si legge sul sito dell’Esa – possono essere stampate contemporaneamente per fornire stabilità e condizioni fisiche ottimali per favorire la ricostruzione.
La stampa di interi organi è un obiettivo del prossimo decennio, ma implica la combinazione precisa di più tipi di cellule e tessuti che lavorino insieme come se fossero uno solo. I partecipanti al workshop hanno discusso lo stato attuale del bioprinting in 3D e il lavoro ancora da fare per far progredire la pratica dalla ricerca di laboratorio fino all’utilizzo sia per i pazienti sulla Terra che per gli astronauti, esaminando anche gli aspetti normativi, medici e tecnologici. “Per la prima volta in Europa, tutti i maggiori esperti si sono riuniti per discutere dell’applicazione del bioprinting 3D e di medicina rigenerativa per lo spazio”, spiega Tommaso Ghidini, responsabile della divisione Strutture, Meccanismi e Materiali dell’Esa, che supervisiona il progetto. “Ci stiamo chiedendo di che cosa gli astronauti avrebbero bisogno nel breve, medio e lungo termine e quali passaggi sono necessari per portare il bioprinting 3D a un livello di maturità tale da poter essere utile nello spazio. Stiamo definendo una roadmap di sviluppo e una tempistica, con l’obiettivo che questo gruppo diventi un gruppo di lavoro scientifico in futuro, spingendo verso il progresso “.
“La vita su altri pianeti potrebbe aumentare il rischio di danni alle ossa e alle articolazioni come di lesioni della pelle dovute a scivolate e incidenti. Semplicemente avventurarsi oltre lo scudo magnetico di protezione della Terra implica una maggiore esposizione alle radiazioni e il conseguente rischio di cancro. Prepararsi a tutte le eventualità – osserva l’Esa – è semplicemente impossibile a bordo di un mezzo ristretto come un’astronave. Poter contare sulla capacità di bioprinting 3D consentirebbe una risposta più flessibile e versatile alle emergenze. Oggi, ad esempio, le ustioni gravi in genere vengono trattate con innesti di pelle da altre parti del corpo di un paziente, con un danno secondario all’area trapiantata, che non è l’ideale nell’ambiente orbitale dove, come dimostra la ricerca, la guarigione delle ferite è più difficile. Invece, nuova pelle potrebbe essere coltivata e biostampata dalle cellule del paziente stesso e quindi trapiantata direttamente. Oppure, nel caso del cancro, l’opzione di stampare il tessuto sostitutivo in una forma personalizzata per sostituire direttamente una parte del corpo affetta da cancro – che si tratti di pelle, ossa o un organo interno – apre opzioni di trattamento non solo per l’esplorazione spaziale ma anche sulla Terra”.