Se progetti la sconfitta non puoi stupirti di perdere

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“Ci può essere un calcio come linguaggio fondamentalmente prosastico e un calcio come linguaggio fondamentalmente poetico. Per spiegarmi, darò – anticipando le conclusioni – alcuni esempi: Bulgarelli gioca un calcio in prosa: egli è un “prosatore realista”; Riva gioca un calcio in poesia: egli è un “poeta realista”. Corso gioca un calcio in poesia, ma non è un “poeta realista”: è un poeta un po’ maudit, extravagante. Rivera gioca un calcio in prosa: ma la sua è una prosa poetica, da “elzeviro”. Anche Mazzola è un elzevirista, che potrebbe scrivere sul “Corriere della Sera”: ma è più poeta di Rivera; ogni tanto egli interrompe la prosa, e inventa lì per lì due versi folgoranti.” Pier paolo Pasolini


Il fatto è che, davvero, perdere un mondiale è un dramma. Ancora Pasolini afferma che «Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro». La delusione è grande. Delusione è un sentimento di amarezza, di dolore quasi, di chi vede la realtà non corrispondere alle speranze che ha elaborato. Ma la delusione dipende dalle aspettative: questo vale in qualsiasi relazione fornitore-cliente. Quindi è fondamentale promettere quello che si può dare certamente, altrimenti quello che si rischia, non è la mancata soddisfazione ma l’insoddisfazione. Se da un lato c’è il problema della promessa, e Prandelli e i giocatori, soprattutto dopo la partita con l’Inghilterra, ne avevano fatte più o meno chiaramente, dall’altro c’è il fenomeno delle attese, che comunque irrazionalmente si formano, per effetto di una forte propensione psicologica. Avviene un intreccio ambiguo tra promesse che creano attese e attese che forzano promesse. Il punto fondamentale è meritarsi il diritto di poter fare una promessa, altrimenti meglio non dire nulla o quasi altrimenti quello che poi si perde è anche la faccia. Ma come si poteva dare fiducia a questa squadra? I risultati precedenti, il valore dei singoli, l’insieme della squadra, e così via. Non è che non volessero, ma che proprio potessero poco: “Se chiedo a un mulo di correre come un cavallo di razza allora io sono un somaro.” Però devo dire che le dimissioni di Prandelli e di altri responsabili sono un gesto interessante in termini culturali, così come quello di cercare i colpevoli, vecchio modello culturale che impedisce di andare alla ricerca delle cause. Tornando alle dimissioni, anche se inevitabili però sono interessanti perché come sappiamo bene Questo non succede in altri campi, in cui il collegamento potere responsabilità è sbiadito o assente e in realtà è solo sempre più insopportabile manifestazione di arroganza. Chiaro che è difficile risalire alle cause di quello che è successo e dovrà essere fatto se vogliamo riprenderci. Qui in Brasile potevamo ambire a non vincere anziché puntare a perdere. Alcune cose fondamentali non potevano risolverle ma altre, davvero, dimostrano delle mancanze socio-organizzative gravi e di cui i responsabili si devono far carico. Tra l’altro anche i commentatori erano dentro una comica involontaria, affidando la speranza del risultato a variabili esoteriche e a precedenti storici. Anche se certamente fa pensare che l’arbitro si chiama, pensa un po’, Moreno. Balotelli afferma che ha dato tutto e che ha la coscienza a posto e di trovare altre scuse e la sta buttando sul vittimistico razziale, però credo che sia vero: lui e anche gli altri probabilmente hanno dato tutto quello che avevano. Il problema è questo! La domanda è: “Quello che hanno, o che avevano, poteva essere di più?” Da qualche tempo non si ragiona sul potenziale nazionale, non ci s’interroga sul come coltivarlo e trasformarlo. Questo è uno dei punti critici accanto certamente a errori di scelte ma opinabili e indimostrabili. Poi forse anche la passione come moltiplicatore, i nostri messi in confronto con altri non mi sembra avessero uno slancio intenso, o comunque meno di altre nazioni. Come diceva Orson Wells un pompelmo è un limone che ha avuto un’opportunità e ne ha approfittato ma possiamo anche dire che è assurdo chiedere a un limone di fare il pompelmo.