Paure e angosce post dramma. Ecco perché le tragedie ci fanno paura 

Rabbia, impotenza, senso dell’assurdo. Sono questi i sentimenti che si provano in questi giorni drammatici e tragici che l’Italia sta vivendo. Perché il terremoto lo puoi accettare. Anche se in queste ore in cui il Sud Italia è attraversato da uno sciame sismico, la paura tiene in allerta. Un ponte che cade davanti, addosso no, è impensabile. E’ qualcosa di difficile da elaborare, anche perché di strade e di ponti ogni giorno ne attraversiamo tanti, consapevoli di una scarsa manutenzione e coscienti di essere esposti a qualche rischio. Tutta Genova avrà bisogno di assistenza psicologica e tempo per sanare una ferita così profonda. Ma, non solo la città di Genova, tutti noi abbiamo bisogno di elaborare il senso di rabbia e di impotenza: è naturale e legittimo. Rabbia, impotenza e paura, che hanno radici profonde: prima, la morte di un uomo di successo, ricco e invidiato, che se ne va di colpo, lasciandosi tutto alle spalle. Ori e stracci: la ricchezza, il successo, l’invidia e l’adulazione. Il crollo, poi, improvviso di un ponte che inghiottisce sogni, passioni, amori e affetti. Infine, lo sciame sismico che smuove il Sud Italia e nella mente della gente riaffiora la paura del terremoto dell’Ottanta. Episodi di vita accentuati dalla fatalità che fanno scattare in tutti noi un sentimento quanto normale e comprensibile: la paura, che si accentua con le immagine dei media, con le ore che passano e sanciscono altre morti, con i social che lanciano paure e allarmismi: foto e commenti, la richiesta di non attraversare ponti a rischio. Per un attimo diventiamo ingegneri e giudici, alimentando l’ondata di fobia dei ponti, delle morti improvvise. Proteggersi dalla sovraesposizione di immagini e notizie, cercando di recuperare calma e tranquillità. E’ il primo passo per non farsi prendere dal panico e dalla paura comprensibili ma ingiustificati. La paura non può e non deve paralizzarci, ma diventare arma di reazione. Incidenti come quello di Genova, hanno un fortissimo impatto sull’opinione pubblica perché comportano un elevato numero di morti e feriti. Ma ciò non toglie che sono e rimangono eventi molto rari. In situazioni tragiche come queste, purtroppo, la rete, amplifica la paura e favorisce il dilagare del panico. E, invece, bisognerebbe considerare l’estrema rarità di questi eventi. Non è vero che la rete stradale è insicura, perché altrimenti avremmo disastri quotidiani, visto l’altro numero di viaggiatori quotidiani. Per cui, è bene non sovraesporsi ad immagini e notizie che di continuo in questi giorni sono trasmesse. Passare ore su internet a cercare informazioni non fa altro che aumentare il senso di insicurezza. Anche le storie dolorose che in questi momenti sono raccontate, facilitano il meccanismo di identificazione di milioni di persone, potenziali vittime di terzo livello di questo evento. Esiste, infatti, anche un traumatismo secondario legato proprio all’identificazione con le vicende delle vittime. Soprattutto, facciamo attenzione ai bambini, la cui sensibilità è molto accentuata. I genitori sono fondamentali, da loro devono sapere che avere paura è normale, è naturale, bisogna lasciarli esprimere le loro emozioni tenendo conto che dopo un simile trauma possono avere qualche regressione e magari fare pipì a letto. Davanti alle loro domande, ai mille perché di una tragedia bisogna cercare di dire la verità senza commenti: “il ponte è caduto perché era vecchio, fatto male”. Mentre tutti noi, nel nostro noi più intimo e profondo, dovremmo chiederci perché le morti di Genova, la morte di un uomo di successo come Marchionne, ci colpisce così tanto? Perché ci poniamo istintivamente una domanda: se è tutto così veloce e drastico, stiamo usando bene la nostra vita?