Veleni, la storia di un film

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di Carolina Cigala

Un parroco, un farmacista e un eccentrico clochard sono le uniche presenze maschili di un paesino del Sud nei primi anni ’50, che a causa dell’emigrazione e della guerra, risulta abitato quasi solo da donne.
A poca distanza il Collegio, ove sin da bambino vive il figlio del medico condotto che fa ritorno al paese per il funerale del padre e, rompendo gli schemi esistenziali in cui aveva trovato rifugio, dovrà scoprire i segreti della sua famiglia.
Ruggero Cappuccio e Nadia Baldi, su invito di Giuseppe Mannajuolo, rielaborano nel film “Veleni” una storia ideata da Augusto Caminito, ampliando il nucleo di base delle figure e trasferendone l’ambientazione dal Sud America al Sud Italia. E’ il Cilento, con la sua capacità di permanere alle trasformazioni degli ultimi sessant’anni, a rappresentare l’archetipo dei luoghi del sud in cui sono messi a fuoco aspetti, infelicità e trasgressioni di una piccola comunità con pochi uomini e tante donne, sole, vittime, giustiziere, bonarie, seduttive, maghe, spesso sul filo di una doppia esistenza.
Una terra di incroci, tra natura ed architettura, che fa risuonare gli intrecci tra i personaggi attraverso rievocazioni di slancio romantico, atmosfere noir e inserti di commedia talvolta grotteschi.
Per meglio comprendere il film e documentare l’intensa partecipazione che ha coinvolto l’intero cast, dal grande attore Roberto Herlitzka alla montatrice Esmeralda Calabria, al costumista Carlo Poggioli, agli operatori, è utile riferirsi alla monografia “Veleni. Storia di un film”, Edizioni Artstudiopaparo per la Fondazione Mannajuolo – Napoli 2017, coordinamento editoriale Mario Pellegrino.
Il libro si apre con i contributi dell’ideatore della storia, Augusto Caminito, che afferma che “non mi è stato difficile ambientare un soggetto che partiva dall’Argentina per poi andare in un paese del Sud Italia”, di Valerio Caprara, che avvicina il lavoro “all’epoca d’oro del giallo – horror all’italiana oppure all’ancor più pertinente fase fantastica di Pupi Avati” e di Dora Celeste Amato, che nei toni metafisici e sensuali del film rintraccia “echi di Borges tra tinte forti alla Bunuel”.
La successiva galleria fotografica di Angelo Marra richiama, nella limpidezza, la gestione dello spazio e della luce dei migliori ritratti ambientati, in cui occhi, mani, volti degli attori sono inseriti in una espressività corale assieme allo sfondo naturale o artificiale, in adesione al fine documentaristico della pubblicazione. Solo nella serie di conversazioni, raccolte sul set da Angela Mallardo, le foto di scena stringono il campo al primo piano del personaggio ritratto, propendendo per una lettura intimista allo stesso modo in cui le domande ripercorrono riflessioni ed emozioni dell’esperienza artistica dell’intervistato.
Il registro surreale della comunità di Veleni, nel suo cedimento inaspettato alla comicità lì dove culmina l’infelicità, è ben trattenuto nell’apparato delle immagini e dei contenuti, facendoci vivere i cambi di atmosfera, nel modo in cui “la luce che esplode senza ritegno” dei paesaggi cilentani, descritta dalla Mallardo nel conclusivo diario di bordo, si spegne all’improvviso nelle ombre dello spazio sotterraneo, metafora del profondo.
Il libro termina con il fuoricampo di Mario Pellegrino, autore anche della ammaliante copertina, ed il saluto della troupe al pubblico.
Un saluto orgoglioso.