Napoli? Una città infantile Questo è il suo problema

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Si riporta il testo integrale dell’intervista di Alfonso Ruffo al professore Domenico De Masi pubblicata dal quotidiano Ildenaro.it l’8 marzo del 2014.

I NAPOLETANI raggiungono il massimo della loro maturità a quattordici anni. Poi la fantasia prende il sopravvento sulla concretezza e la carica creativa si trasforma in velleità. La vera malattia della nostra gente è l’infantilismo. E così si spiegano molte cose…”. 

Due ore di conversazione con Domenico De Masi, Mimmo per gli amici, sociologo e professore di Sociologia del Lavoro presso la Sapienza di Roma, autore di numerosi libri con tesi controcorrente, quello che si dice un opinion leader, in libreria proprio in questi giorni con la sua ultima fatica Mappa Mundi, una rassegna approfondita e intelligente dei principali modelli di società che si vanno formando nel mondo, sono la cura migliore per aprirsi la mente.

Dunque, Napoli è il regno dell’infantilismo?

Sissignore, confermo.

E da che cosa lo si capisce?

Dall’assoluta incapacità di prendere decisioni concludenti.

Basta questo?

Mi sembra già tanto. Decidere responsabilmente è proprio degli adulti. Di adulti a Napoli, con questo significato, non ne vedo.

Non è troppo poco generoso?

Quello che talvolta si scambia per decisione è puro capriccio. Appunto, una cosa infantile.

Come si distingue una decisione da un capriccio?

La decisione si basa sulla conoscenza, sull’approfondimento, sulla consapevolezza. Il capriccio, sull’estro di un momento. Con una conseguenza sotto gli occhi di tutti…

Quale?

A Napoli manca qualsiasi principio organizzativo. Tutto è rimesso all’improvvisazione più totale. E difficilmente si dà seguito a qualcosa che si è cominciato. Come i bambini quando giocano. Quella della mancata capacità organizzativa è una debolezza forte… L’organizzazione è degli adulti, delle persone mature e responsabili. D’altra parte se non ci fosse carenza di organizzazione le cose potrebbero andare molto meglio.

Colpa di chi o di che cosa?

E’ difficile adesso risalire alle origini del male. Certo, una buona dose di responsabilità è degli intellettuali.

Perché mai?

Perché hanno smesso di fare il loro mestiere che è quello di anticipare l’evoluzione della società indicando i modelli del suo funzionamento.

Non ci sono modelli da seguire?

O ce ne sono molti, come ho cercato di indicare nel mio ultimo libro. Un tratto comunque domina il mondo intero.

Quale?

Siamo tutti più o meno infelici, insoddisfatti, frastornati. Non sappiamo dove andare eppure vorremmo essere sempre altrove.

Inutile prendersela con la politica?

La politica arranca proprio perché non ha pensiero alle spalle.

A chi dovrebbero ispirarsi i nostri governanti?

A chi? A nessuno che valga la pena di seguire. In ogni epoca, giganti del pensiero hanno anticipato e condizionato la politica che ha poi cercato di plasmare la società.

Oggi? Bisogna fare il contrario: scegliere tra i numerosi modelli di società che si sono spontaneamente formati e adattare al caso proprio.

Premesso che nessun modello è in grado di dare risposte alla complessità, quale società si avvicina di più a un tipo ideale?

Quella brasiliana che ricorda quella napoletana di trecento anni fa. Che cosa ha la società brasiliana che la distingue dalle altre? Il meticciato che è la vera dimensione del nuovo mondo.

Vale a dire?

La capacità di assorbire tutte le culture le influenze e le razze possibili conservando al tempo stesso la propria forte identità.

Altrove non accade?

No. Altrove al massimo ci si integra ma non è la stessa cosa. E spesso si accettano modelli dominanti, come quello statunitense, senza condizioni.

Il Mezzogiorno potrebbe essere il Brasile d’Europa?

Potrebbe e, come dicevo, per un tempo lo è stato. Ora non più.

Che cosa è successo?

Abbiamo perduto l’arte di vivere. Ci siamo ingrigiti inseguendo modelli che non ci appartengono.

Possiamo recuperare?

La situazione è molto compromessa proprio per la mancanza di un pensiero generale che detti nuovi paradigmi di vita.

A cosa ci si potrebbe ispirare?

Il pensiero meridiano di Cassano potrebbe essere una via d’uscita. Ma occorrerebbe lungimiranza e perseveranza. Tutte le azioni dovrebbero andare nella stessa direzione.

Accettare i meridionali come sono puntando sui loro punti di forza piuttosto che obbligarli a cambiare?

Certo. Qui è nata la filosofia. Questa è la culla del pensiero. Da noi la storia ha lasciato un’eredità senza eguali. Potremmo vendere tutto questo al mondo restando noi stessi.

Ma…

Manca l’organizzazione. Come fanciulli continuiamo a giocare.