Sull’Europa pesano i dazi di Trump e l’instabilità di Roma

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L’Europa guarda all’Italia, entrambe guardano agli Usa. Con preoccupazione, evidentemente. Infatti, al clima di generale incertezza politica determinato dalle elezioni italiane (ma sarebbe meglio dire, da una pessima legge elettorale partorita da una mediocre classe politica) si sono aggiunti i timori della guerra commerciale dichiarata dal presidente Donald Trump all’universo mondo. Così, dopo i dazi sulle lavatrici e sui pannelli solari, il presidente americano – come aveva preannunciato – ha aumentato i tributi al 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio. Le misure protezionistiche entreranno in vigore nel giro di due settimane, ma le conseguenze per l’industria manifatturiera europea cominciano già a toccarsi con mano. Sul finire della settimana quasi tutti i titoli legati al settore siderurgico hanno pagato pegno. Certo, la speranza è che, dopo aver escluso dalle misure i beni importanti dal Messico e dal Canada, Trump tenga fuori dai provvedimenti anche il Vecchio Continente. L’inquilino della Casa Bianca ha dichiarato infatti che le misure potrebbero non essere applicate anche ad altri paesi. Vedremo.
L’offensiva protezionistica degli Usa cade in un momento congiunturale non proprio felice per l’Europa. La produzione industriale della Germania a gennaio ha registrato una flessione dello 0,1% su base mensile, dopo il -0,5% di dicembre. Gli analisti si attendevano invece una crescita dello 0,6%. In calo sono anche le esportazioni, che flettono dello 0,5% (mentre anche in questo caso la stima era per un aumento dello 0,3%).
E dati negativi provengono anche dalla Francia, dove la produzione industriale a gennaio è diminuita del 2% su base mensile, anche se è cresciuta dell’1,2% su base annua. Il mercato si attendeva rispettivamente un -0,3% e un +3,8%. La produzione manifatturiera ha invece registrato un calo dell’1,1%.
Ben si comprende, allora – dopo dichiarazioni piccate del presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, a quelle che fino ad allora sembravano soltanto minacce – la corsa a moderare i toni con Trump e cercare un’intesa. “L’Unione europea non è una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti e si aspetta di essere esclusa dai dazi sull’acciaio e alluminio decisi dal presidente Donald Trump ieri”, ha dichiarato il commissario Ue al commercio, Cecilia Malmstrom. Ed il ministro dell’Economia della Germania, Brigitte Zypries, senza mezzi termini ha aggiunto: “I dazi annunciati da Trump sono un problema per le imprese tedesche. La Germania si coordinerà con l’Unione europea per reagire in modo calmo ma netto”.
Dal cuore dell’Europa – si diceva – si guarda con speranza anche a Roma e precisamente all’inquilino del Palazzo del colle più alto. Dalle urne, come si sa, è uscito un M5S (che diventa partito di maggioranza relativa) trionfante, la Lega che supera Forza Italia e, dunque, Berlusconi – che per una sorta di nemesi storica era stato indicato, ora, come uomo della provvidenza, dopo essere stato perfino ridicolizzato in Europa – inaspettatamente ridimensionato. Per non parlare del Pd del premier Paolo Gentiloni e del segretario Matteo Renzi che è stato fortemente bastonato dagli elettori. Il risultato però è che, tranne un miracolo, una maggioranza di governo è davvero difficile ipotizzare. Ed il miracolo se lo aspettano tutti da Sergio Mattarella. La situazione però è davvero molto complicata. Ma la fiducia non manca.
L’agenzia di rating Moody’s per esempio, prima ancora di abbassare il voto in pagella all’Italia prova a guardare il lato positivo della situazione: “L’incertezza post voto aggiunge sfide su economia e conti pubblici”, scrive. Peraltro, “lo scenario economico si manterrà favorevole”, aggiunge l’Istat nella nota mensile.
Ma sembrano posizioni di circostanza. Dietro l’angolo ci sono le politiche di bilancio e i conti da fare appunto con l’Europa. “L’importante è non creare aspettative negative sui mercati” ha consigliato il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, a proposito dei programmi dei partiti dei due premier “in pectore”, Luigi Di Maio (M5S) e Matteo Salvini (Lega) che si contendono Palazzo Chigi. A dirla però più chiaramente di tutti è Mario Draghi (Francoforte – come si sa – giovedì ha lasciato i tassi fermi): occhio all’instabilità, l’euro irreversibile.
E qui il quadro si ricomplica.

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