La grande bellezza e il capitale umano: una riflessione sul sito di Carditello

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Un susseguirsi di storie di ignoranza, degrado e promesse non mantenute, questa, in sintesi, la storia del sito di Carditello: la Reggia, in stile neoclassico, opera dell’architetto Collecini, prima utilizzata come casino di caccia, poi trasformata, per volontà di Ferdinando IV, in una fattoria modello.

Entrato a far parte, nel secondo dopoguerra, del patrimonio del Consorzio di bonifica del Volturno, da molti anni, purtroppo, il complesso borbonico, versa in uno stato di abbandono che l’ha esposto a ogni forma di razzia. Non sono mancate grida di allarme nè testimonianze significative di ‘cittadinanza attiva’. Tra queste, quella di Tommaso Cestrone, il ‘custode volontario’ colto da infarto, proprio nella Reggia, la notte dello scorso Natale.

Grazie alle battaglie di comitati di cittadini e associazioni, delle quali talvolta mi sono fatto anch’io portavoce, per la Reggia di Carditello si apre ora una nuova prospettiva, ricca di speranza.

Val forse la pena ricordare che, con ordinanza del 27 gennaio 2011, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dispose la vendita all’asta del complesso monumentale, assegnando il diritto di prelazione a Comune, Provincia, Regione e MIBAC. Dopo anni di (quasi) generale indifferenza, nel gennaio di quest’anno è stato firmato un accordo preliminare tra la Società Gestione Attività (che ha acquisito i crediti del Banco di Napoli) e il MIBAC per la cessione della Reggia borbonica al Ministero. Presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nel corso della dodicesima asta – ebbene sì, proprio la dodicesima! – la SGA si è recentemente aggiudicata, per 11 milioni e mezzo di euro, il sito campano che ora sarà ceduto – finalmente! – al MIBAC.

Carditello ritorna così ai legittimi proprietari, i cittadini! Una vittoria dello Stato certo, ma non un punto di arrivo, piuttosto un buon punto di partenza!

Il patrimonio culturale è una risorsa fondamentale per il nostro Paese, ma, più di tutto, è un’eredità preziosa lasciataci dai nostri predecessori, del cui valore non sempre oggi ci dimostriamo all’altezza.

Pensiamo per un attimo quali potenzialità potrebbero essere sollecitate da un’adeguata valorizzazione del nostro patrimonio storico-artistico, sul piano culturale ma, anche, su quello economico.

E la stessa Reggia di Carditello fu un simbolo del binomio economia-cultura: non era, infatti, solo un semplice luogo di svago della famiglia borbonica, ma una sorta di azienda, espressione di un’imprenditoria innovativa ispirata dalle idee illuministiche.

In considerazione di tanto autorevole passato, si pensi, per limitarci ad un solo esempio, alle conseguenze – in termini di marketing territoriale – del ritorno della denominazione di quella che è oggi tristemente conosciuta come “Terra di Gomorra” o “Terra dei Fuochi”, nella classica “Campania felix” o, se si vuole, in “Terra di lavoro”.

Nomina sunt consequentia rerum, dicevano gli antichi. Ebbene, le tristi metafore con le quali ci siamo – ahimè – abituati a definire questi straordinari territori (ricchi di paesaggi unici, di arte e di cultura) ci consentono – ahimè – di prendere atto del degrado morale prima ancora che economico in cui siamo precipitati.

Il mio interesse per le politiche di tutela e valorizzazione dei beni culturali, mi ha portato nei mesi scorsi ad interessarmi  della Reggia di Caserta. Dopo due sopralluoghi, constatato lo stato di incuria del sito, ho ritenuto opportuno presentare un’interrogazione parlamentare. Qualcosa si è mosso, i primi finanziamenti sono giunti, ma non è abbastanza. C’è ancora molto – troppo – da fare, per molti siti che per la loro importanza e i valori che in essi si condensano, assumono un vero e proprio valore monumentale. Penso, appunto, alla Reggia di Caserta e di Carditello, ma anche all’Arco di Traiano, che giace ‘impacchettato’ da mesi nel centro storico di Benevento: espressione allegorica, quanto mai pertinente, dell’insensibilità culturale, delle difficoltà burocratiche e dell’atavica incapacità a valorizzare le nostre eccellenze, a cominciare dalla straordinaria capacità attrattiva dei nostri beni culturali.

Invito tutti a immaginare un tour virtuale (e, perché no, reale) in Terra di lavoro: dall’anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere (secondo solo al Colosseo) al museo campano di Capua (con le sue Matres Matutae), dalla Reggia vanvitelliana di Caserta (con i suoi giardini e le sue fantastiche fontane) al Real Sito di Carditello, da cui ho preso le mosse per queste mie brevi riflessioni. Ecco, una volta giunti a Carditello, potremo vivere un’esperienza davvero singolare: nonostante il grave stato di decadenza, lo scempio perpetrato da mani barbare e predatrici, la scomparsa dei boschi e delle floride colture che ne costituivano la lussureggiante cornice, è ancora intuibile, soprattutto nella stupenda veduta d’insieme del sito, la ‘grande bellezza’ che un tempo la caratterizzava. Talmente ‘grande’ che ancora oggi, nonostante tutto e tutti, ne conserva – gelosa – i tratti. La grande bellezza, è anche il titolo dello splendido film di Paolo Sorrentino, che ha recentemente vinto a Hollywood il Golden Globe come miglior film straniero. Ma per valorizzare la bellezza, per far sì che non sfiorisca ma che, anzi, sia adeguatamente valorizzata e produca anche ricchezza (nel senso più ampio del termine), occorre dotarsi e scommettere su un adeguato ‘capitale umano’. Non è un caso che una dei protagonisti dell’omonimo film di Virzì (che sta raccogliendo un meritato successo in questi giorni nelle nostre sale) congeda il suo interlocutore con questa dolente riflessione, che forse condensa icasticamente una forma mentis più diffusa di quanto si pensi: “Hai scommesso sulla sconfitta del Paese e hai vinto”.

Alle due melanconiche metafore cinematografiche rispondo, ricordando il disinteressato impegno di Tommaso Cestrone in difesa di Carditello, con il titolo di una canzone di Vasco Rossi: “C’è chi dice no!”.

E aggiungo: “vivaddio!”

 

Antimo Cesaro*

*deputato, vicecapogruppo di Scelta Civica alla Camera dei Deputati