Come nasce una baby gang: identikit dei violenti in erba

Sguardo di sfida. La rabbia fin dentro gli occhi. La violenza che cova dentro, esplodendo in atti forti contro lo Stato, pietre, parolacce, sguardi di sfida alle forze dell’ordine, sino alla rabbia ceca contro i loro coetanei. Girano armati con coltelli in tasca e catene, mentre la spirale della violenza giovanile nel capoluogo partenopeo cresce e preoccupa. Dieci i ragazzi accoltellati da inizio dicembre ad oggi. Aggressioni e violenze ai danni di altri minori. Un ragazzo è stato accoltellato alla gola, Arturo, ad un altro è stata dovuta asportare la milza. E ancora, 17 rapine in due mesi, nel napoletano, messe a segno da scorribande di ragazzini. Ragazzini poco più che bambini che si fanno la guerra nel centro storico di Napoli, ragazzi che il giudice Nicola Quatrano ha legato addirittura ai militanti della Jihad, per quel “filo sottile ed esistenziale” rappresentato dalla “ricerca della morte”. Il “branco” vive di adrenalina che si respira per le strade di Napoli, si muovono, agiscono, feriscono, con spavalderia, sfidano le forze dell’ordine e poi spariscono mischiandosi alla gente impaurita. Gang di minori, che paralizzano la città, sono infatti, fenomeni criminali che hanno assunto proporzioni inquietanti tanto da lanciare un allarme sociale al pari della camorra. Ma se la strada attira, c’è chi ogni giorno, da anni, nella difficile e complicata Napoli investe sui più giovani, sono molti i progetti anche in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione e del Viminale che unisce scuola, quartieri, centri sportivi, associazioni del terzo settore e parrocchia, per rieducare i ragazzi, allontanarli dal crimine e dalla violenza. Ma le emergenze nascono e spaventano. Il quadro è complesso e va visto nella sua complessità. Napoli è una grande città che fa i conti con l’esclusione sociale, la presenza della criminalità organizzata, con forme di violenza. Serve unire la prevenzione e la repressione vadano a braccetto: educazione e limite funzionano in simbiosi. Invece, ancora una volta c’è chi si divide tra “mandiamo la Folgore” e chi vorrebbe un esercito di insegnanti. Ragazzini piccoli e feroci, fanno parte di famiglie non solo molto povere ma “scassate” – come si dice a Napoli-, con figure materne e paterne deboli o del tutto inesistenti, genitori che non hanno prospettive di impegno né formazione, che abitano ai margini di quartieri e comunità marginalizzate e visti come degli esclusi da queste stesse comunità. Alcuni di questi genitori sono nelle parti basse della criminalità organizzata o vi sono limitrofi, non hanno nessuna consapevolezza di come si educa un figlio, spesso sono disperati perché non hanno mezzi di sostentamento, spesso presentano caratteristiche psicosociali complesse. I figli non vanno a scuola, nutrendo un disappunto per l’istruzione ed il sapere, vivono alla giornata e si coagulano in una banda che non è organizzata con una gerarchia stabile, infatti, il fenomeno è nuovo e sconosciuto a quanti si occupano di giovani, perché il fenomeno è complesso e ancora sconosciuto in alcune sue parti a tutti. E’ un gruppo informale che se ne sta senza far niente, magari girano su motorini rotti, tirano tardi la notte, poi arriva l’adrenalina, fare qualcosa che sia un’avventura e nel giro di pochi minuti creano disastri terrificanti, contro qualcuno che scelgono al momento, perché magari ha avuto la sventura di passargli accanto o di essere in quel posto con loro. Alcuni a volte sono sotto l’effetto di alcool o di droghe. Sono questi effetti conglomerati di ragazzi che vivono ai margini della società, sotto la pressione della frustrazione, della regolazione emotiva e sostanzialmente non sanno cosa fare e cosa si dovrebbe fare. Non hanno una figura adulta di riferimento: un nonno saggio, un parroco amorevole, un volontario che li agganci, li rassicuri, gli fornisca alternative entusiasmanti e vive, che siano lontane della violenza e dal crimine. Sono bombe che rischiano di scoppiare alla prima occasione. Di positivo in questi giorni c’è una città che rifiuta la violenza, che si smuove nelle coscienze ed in piazza, e in quelle piazze non c’è solo il genitore del quartiere bene di Napoli, ma genitori fragili ed insicuri ma schierati dalla parte della legalità. Questa è la molla che deve portare tutti dalla stessa parte oltre la reazione: servono alleanze che costruiscano luoghi dove è possibile vivere “avventure” e “sfide” positive, alternative, in una fascia d’età che vada dai 10 ai 25 anni. Servono scuole, serve formazione professionale, stage sul territorio per amarlo e riconoscerlo nell’arte, nell’artigianato, perché sa di identità e di vita. Servono più educatori attivi che seguano le situazioni più fragili e a rischio, supportando la genitorialità con indicazioni educative, c’è bisogno che nascano centri di aggregazione giovanile dove ci siano i valori dello sport, della condivisione. La scuola da sola non basta, seppur deve essere più flessibile, con una formazione professionale vera, alleandosi con i tutor di strada. Accanto a tutto ciò ci deve essere non tanto un cambio della legge ma certezza delle sanzioni, anche non penali: il programma educativo deve essere realizzato per davvero, la sua esecuzione deve essere sorvegliata in maniera forte.