Diversi Amori, al Mann incontri e spettacoli per raccontare l’amore ai tempi di Eros

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Improbe amor, quid non mortalia pectora cogis! Crudele amore, cosa non spingi gli animi a fare! esclamava Virgilio. Il Mann continua a raccontare l’amore antico ponendo l’accento, questa volta, su tutto quanto ha a che vedere con il desiderio e con la sua soddisfazione, l’innamoramento, l’intrattenimento amoroso tra uomini e donne e non solo.

 Dal 7 al 28 ottobre la rassegna Diversi Amori presenta quattro lezioni teatralizzate su “Ermafrodito, o dell’androginia”, “Amori tra uomini”, “Amori tra donne”, I fanciulli e l’amore”, “Licenziosi rituali, intrecci bestiali e altro ancora”, incontri/spettacolo sull’eros nel mondo greco e romano ideati da Marco de Gemmis e Manlio Converti.

Per gli antichi Greci il dio dell’amore Eros era, secondo la cosmogonia di Esiodo, la divinità primordiale, il primo dio che appare nel mondo, il più antico di tutti. I Greci usavano la parola eros riferendosi a diversi aspetti dell’amore:  il rapporto coniugale tra un uomo ed una donna, la relazione tra persone dello stesso sesso o tra l’adulto e un ragazzo, la cosiddetta pederastia pedagogica, una pratica permessa dalle leggi, celebrata nei riti e dalla letteratura. Questa consuetudine, infatti, traeva la sua legittimazione da numerosi amori omosessuali mitici: Zeus e Ganimede, Poseidone e Penelope, Apollo e Giacinto, ancora Apollo e Ciparisso e Admeto, Eracle e Iolao, Teseo e Piritoo.  

Che gli antichi romani avessero una vera predilezione per il sesso in tutte le sue forme, è cosa risaputa.  Nella cultura greco-romana il confine dell’identità sessuale non era così rigido come nella nostra cultura. Gli uomini e le donne di qualche millennio fa erano disponibili a un ventaglio molto ampio di piaceri sessuali e senza sensi di colpa. Se i greci nell’amore cercavano il bello, indipendentemente dal sesso di chi amavano, pertanto amare donne o ragazzi era solo una faccia diversa della stessa medaglia, a Roma i rapporti omosessuali non destavano scandalo, a patto di rispettare due regole: il cittadino romano doveva avere un ruolo “attivo” e il suo concubino essere di rango inferiore. In questo modo, l’omosessualità romana era al tempo stesso una manifestazione sociale del potere personale del cittadino sugli schiavi, e una riconferma della sua potenza virile che consisteva nel sottomettere altri uomini. 

Il termine omossessuale era del tutto inopportuno per il mondo antico, poiché non esistevano lemmi in latino o in greco che avessero tale significato, in quanto le persone non erano classificate in base alle loro scelte sessuali. L’amore fra donne è poco documentato, appena ricordato da Plutarco e Platone o da Luciano di Samosata. A Cipro, secondo quanto racconta lo scrittore romano Macrobio, donne vestite da uomini e uomini vestiti da donne adoravano Venere Castina, una divinità femminile dotata di attributi maschili. 

Quanto all’ermafroditismo era considerato foedum atque turpem prodigium, un prodigio infausto e turpe, una mostruosità che metteva a repentaglio l’ordine naturale. Per questo a Roma i neonati bisessuati erano bruciati vivi su un rogo di rovi selvatici o annegati, mentre in Grecia erano abbandonati al loro destino o gettati dalle rupi. Infatti, i termini androgino ed ermafrodita sono parole interscambiabili quando sono applicati alle divinità, giacché ciascuno di essi implica la fusione e l’incapsulamento di caratteri sia maschili sia femminili, quindi la totalità della potenza magico-religiosa dei due sessi. Quando si tratta dell’uomo, invece, l’ermafrodita è spesso considerato aberrazione, errore della natura, portatore di segnali di sventura.

Tante le curiosità e le bizzarrie raccontate sull’argomento, innumerevoli i modi in cui il sentimento amoroso è stato raffigurato, raccontato, cantato. Nei testi drammaturgici dei diversi appuntamenti al Mann sono inseriti passi letterari estratti da opere appartenenti sia all’antichità sia alla contemporaneità, in un confronto tra passato e presente che sottolinea il trasformarsi o il perpetuarsi di usi e costumi sessuali e amorosi. Il tutto è narrato con un linguaggio ironico da Massimo Andrei, accompagnato dalle attrici Chiara Baffi e Antonella Romano, in un affascinante dialogo con le opere d’arte esposte nel Museo. 

L’evento ricade nell’ambito della mostra “Amori Divini”, aperta al pubblico fino al 16 ottobre 2017, in contemporanea con Mito-mania un programma di eventi, visite e laboratori didattici sul tema del Mito e dell’Eros tra letteratura, poesia, teatro e cinema, organizzato in collaborazione con Electa.

Un insolito e accattivante format che coniuga intrattenimento e formazione culturale e conferma l’innovativa progettualità del Museo Archeologico di Napoli volta a coltivare allo stesso tempo il gusto per il bello e l’accrescimento collettivo del sapere. L’Eros si sublima, trascende l’attrazione dei corpi e raggiunge i livelli superiori “dell’amor platonico”, istillando la passione per la conoscenza e per l’assoluto e in fondo, che cos’è l’amore se non “il desiderio di possedere il Bene, per sempre”.

Improbe amor, quid non mortalia pectora cogis! Crudele amore, cosa non spingi gli animi a fare! esclamava Virgilio. Il Mann continua a raccontare l’amore antico ponendo l’accento, questa volta, su tutto quanto ha a che vedere con il desiderio e con la sua soddisfazione, l’innamoramento, l’intrattenimento amoroso tra uomini e donne e non solo.
 Dal 7 al 28 ottobre la rassegna Diversi Amori presenta quattro lezioni teatralizzate su “Ermafrodito, o dell’androginia”, “Amori tra uomini”, “Amori tra donne”, I fanciulli e l’amore”, “Licenziosi rituali, intrecci bestiali e altro ancora”, incontri/spettacolo sull’eros nel mondo greco e romano ideati da Marco de Gemmis e Manlio Converti.
Per gli antichi Greci il dio dell’amore Eros era, secondo la cosmogonia di Esiodo, la divinità primordiale, il primo dio che appare nel mondo, il più antico di tutti. I Greci usavano la parola eros riferendosi a diversi aspetti dell’amore:  il rapporto coniugale tra un uomo ed una donna, la relazione tra persone dello stesso sesso o tra l’adulto e un ragazzo, la cosiddetta pederastia pedagogica, una pratica permessa dalle leggi, celebrata nei riti e dalla letteratura. Questa consuetudine, infatti, traeva la sua legittimazione da numerosi amori omosessuali mitici: Zeus e Ganimede, Poseidone e Penelope, Apollo e Giacinto, ancora Apollo e Ciparisso e Admeto, Eracle e Iolao, Teseo e Piritoo.  
Che gli antichi romani avessero una vera predilezione per il sesso in tutte le sue forme, è cosa risaputa.  Nella cultura greco-romana il confine dell’identità sessuale non era così rigido come nella nostra cultura. Gli uomini e le donne di qualche millennio fa erano disponibili a un ventaglio molto ampio di piaceri sessuali e senza sensi di colpa. Se i greci nell’amore cercavano il bello, indipendentemente dal sesso di chi amavano, pertanto amare donne o ragazzi era solo una faccia diversa della stessa medaglia, a Roma i rapporti omosessuali non destavano scandalo, a patto di rispettare due regole: il cittadino romano doveva avere un ruolo “attivo” e il suo concubino essere di rango inferiore. In questo modo, l’omosessualità romana era al tempo stesso una manifestazione sociale del potere personale del cittadino sugli schiavi, e una riconferma della sua potenza virile che consisteva nel sottomettere altri uomini. 
Il termine omossessuale era del tutto inopportuno per il mondo antico, poiché non esistevano lemmi in latino o in greco che avessero tale significato, in quanto le persone non erano classificate in base alle loro scelte sessuali. L’amore fra donne è poco documentato, appena ricordato da Plutarco e Platone o da Luciano di Samosata. A Cipro, secondo quanto racconta lo scrittore romano Macrobio, donne vestite da uomini e uomini vestiti da donne adoravano Venere Castina, una divinità femminile dotata di attributi maschili. 
Quanto all’ermafroditismo era considerato foedum atque turpem prodigium, un prodigio infausto e turpe, una mostruosità che metteva a repentaglio l’ordine naturale. Per questo a Roma i neonati bisessuati erano bruciati vivi su un rogo di rovi selvatici o annegati, mentre in Grecia erano abbandonati al loro destino o gettati dalle rupi. Infatti, i termini androgino ed ermafrodita sono parole interscambiabili quando sono applicati alle divinità, giacché ciascuno di essi implica la fusione e l’incapsulamento di caratteri sia maschili sia femminili, quindi la totalità della potenza magico-religiosa dei due sessi. Quando si tratta dell’uomo, invece, l’ermafrodita è spesso considerato aberrazione, errore della natura, portatore di segnali di sventura.
Tante le curiosità e le bizzarrie raccontate sull’argomento, innumerevoli i modi in cui il sentimento amoroso è stato raffigurato, raccontato, cantato. Nei testi drammaturgici dei diversi appuntamenti al Mann sono inseriti passi letterari estratti da opere appartenenti sia all’antichità sia alla contemporaneità, in un confronto tra passato e presente che sottolinea il trasformarsi o il perpetuarsi di usi e costumi sessuali e amorosi. Il tutto è narrato con un linguaggio ironico da Massimo Andrei, accompagnato dalle attrici Chiara Baffi e Antonella Romano, in un affascinante dialogo con le opere d’arte esposte nel Museo. 
L’evento ricade nell’ambito della mostra “Amori Divini”, aperta al pubblico fino al 16 ottobre 2017, in contemporanea con Mito-mania un programma di eventi, visite e laboratori didattici sul tema del Mito e dell’Eros tra letteratura, poesia, teatro e cinema, organizzato in collaborazione con Electa.
Un insolito e accattivante format che coniuga intrattenimento e formazione culturale e conferma l’innovativa progettualità del Museo Archeologico di Napoli volta a coltivare allo stesso tempo il gusto per il bello e l’accrescimento collettivo del sapere. L’Eros si sublima, trascende l’attrazione dei corpi e raggiunge i livelli superiori “dell’amor platonico”, istillando la passione per la conoscenza e per l’assoluto e in fondo, che cos’è l’amore se non “il desiderio di possedere il Bene, per sempre”.