Colmare i divari, non solo economici

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Con l’approvazione al Senato del secondo decreto per il Mezzogiorno (la Camera non dovrebbe apportare modifiche) gli imprenditori che volessero investire nelle regioni meridionali avranno a disposizione una vasta gamma di strumenti. Forse, la più larga mai avuta.
Si va dalla previsione delle Zone economiche speciali al rilancio delle aree portuali, dall’allungamento dei termini per gli investimenti di Industria 4.0 al piano Resto al Sud rivolto a nuovi imprenditori, dal riconoscimento dei cluster tecnologici per favorire il rapporto tra imprese e ricerca all’alleggerimento del costo dei giovani assunti, dal credito d’imposta ai Patti del governo con Regioni e Comuni, dai contratti di sviluppo all’obbligo per le pubbliche amministrazioni di destinare alle regioni meridionali il 34 per cento della loro spesa ordinaria.
Come si vede l’elenco delle opportunità copre in teoria ogni genere di bisogno. Ancora di più se si allarga lo sguardo alle possibilità di crescere attraverso i contratti di rete o acquisendo finanza partecipando a progetti come quelli previsti dalla piattaforma Elite che rompono il monopolio delle banche.
Insomma, ce ne sarebbe abbastanza per essere soddisfatti se non fosse che all’atto pratico resta sempre lungo e difficile trasformare le potenzialità in fatti all’interno di un quadro non privo d’insidie. Un esempio? Ce lo ha raccontato molto bene Marco Esposito sul Mattino quando ha scoperto che tra i prodotti protetti nello scambio dell’Europa con Cina e Canada ne figurano del Mezzogiorno solo uno nel primo caso e quattro nel secondo.
Colpa dell’allora ministro della Lega Zaia, certo, che quando si trattò di compilare la lista favorì sfacciatamente le regioni del suo Settentrione. Ma grande responsabilità di chi non se ne accorse, o fece finta di non accorgersene per motivi inconfessabili, dimostrando perlomeno una grande distrazione nello svolgimento dei propri compiti di rappresentanza politica.
Poi, certo, bisogna anche fare i conti con l’avversione radicata di alcuni ambienti del Nord che fanno scrivere in prima pagina su Libero che il miliardo e mezzo di fondi destinati al Meridione andranno a ingrassare la criminalità organizzata non nutrendo alcuna fiducia nella capacità amministrativa installata al Sud o, peggio, sospettando pericolose collusioni tra i suoi funzionari e ceffi della malavita.
Un fatto nuovo, difficile da interpretare, riguarda la mancata reazione a questa denuncia. Sparata in bella vista dal quotidiano di Feltri, non ha sortito alcun effetto: nemmeno di maniera. Come se fosse un naturale risvolto del gioco delle parti. Qualcosa di atteso, normale, indolore.
Eppure è la spia che una gran parte dell’opinione pubblica nazionale considera la parte bassa del Paese grandemente inaffidabile: una gigantesca spugna capace di assorbire tutto il possibile senza rilasciare niente e dunque sempre alla ricerca di nuova linfa per ingrassare a danno degli altri. Meglio tenerla a dieta. Si comprende così anche il motivo che spinge due grandi regioni come Piemonte e Lombardia a celebrare referendum secessionisti con funzioni di propaganda, non c’è dubbio, ma rivelatori di un’insofferenza che si credeva possibile superare con una visione d’insieme del Paese che con tutta evidenza stenta a fissarsi.