Napoli Pizza Village, al Trofeo Caputo la pizza fritta si riprende la scena

59

A margine dell’ufficialità delle classifiche e dell’elenco dei vincitori del XVI Trofeo Caputo, viene spontaneo fare due riflessioni. La prima, riferita al campione del mondo, Michele Leo, è che le giovani leve 2.0 dovrebbero continuare a prendere a modello pizzaiuoli dalla formazione classica, che hanno costruito la propria carriera passo dopo passo, con tanta gavetta. Il 52 enne lucano, appena eletto miglior Pizzaiuolo, ha alle spalle pochi selfie e tanto impegno. Lavoro e perseveranza sono il filo rosso della sua carriera, costruita anche grazie al continuo confronto con i colleghi e alla partecipazioni a tanti concorsi. Ieri sera, fresco di premiazione, con gli occhi lucidi, Michele Leo ha confidato: “Ho iniziato a sedici anni, lasciando la mia Basilicata per andare a fare il garzone in una pizzeria del Nord. Oggi non sarebbe neanche più permesso far lavorare un ragazzino così giovane. Ma io, proveniente da una famiglia di 14 figli, dovevo trovare la mia strada”. Un impegno che l’ha portato a sfidare e primeggiare su un esercito di 600 pizzaioli. Chapeau.
La seconda è molto femminile e ha il sapore di un riscatto. Un cibo ritenuto, a torto, povero, rispetto alla pizza tradizionale. Parliamo di quella fritta, prodotta essenzialmente da mano femminile. Entrata quasi in punta di piedi tra le categorie in concorso di questa edizione, ha visto gareggiare tante pizzaiole provenienti da storici locali partenopei. Nomi che mai si erano affacciati alle competizioni del Trofeo Caputo. I tre vincitori della categoria: Teresa Iorio, Isabella De Cham e Pasquale Gueli, della scuderia di Gino Sorbillo da Zia Esterina, hanno dato dimostrazione dell’altissimo livello raggiunto da questa specialità, spesso considerata una sorella minore della pizza cotta in forno. Ed è anche il segno di una Napoli che democraticamente accetta l’approdo in città di locali da street-food di matrice internazionale ma poi, immancabilmente, ritorna alle sue radici.
Perché la pizza fritta è una specialità tutta partenopea che fa tornare alla mente gli anni difficili del dopoguerra e la creatività del popolo napoletano. Tema di un film di Vittorio De Sica, del ’54, “L’oro di Napoli”, con una bellissima Sofia Loren. La pizza fritta ha rappresentato, a lungo, una soluzione gustosa che si è diffusa in un periodo in cui mancavano gli ingredienti classici per condirla e, soprattutto, mancavano la legna e i forni, molti dei quali distrutti nei combattimenti per liberare la città. Così si pensò di friggere nell’olio bollente l’impasto, che si gonfiava e dava un senso di maggiore sazietà. Oggi la pizza fritta si farcisce con salumi, polpette, provola o friarielli, ai tempi ci si metteva dentro tutto quello che si aveva a disposizione, soprattutto ricotta a buon mercato, che arrivava dalle campagne, e i “ciccioli”, pezzi di grasso di maiale, sfrido di lavorazione dei tagli pregiati.
Oggi con il Campionato Mondiale dei Pizzaiuoli la pizza fritta si riprende la scena e diventa piatto gourmet da strada.