La protezione psicologica delle nostre popolazioni

Con ogni evidenza, la popolazione dei nostri paesi occidentali non è schermata e protetta nei confronti di azioni, operazioni, manipolazioni tipiche della più moderna guerra psicologica. Operazioni, peraltro, che vengano dai nostri avversari attuali: Stati, attori non-statuali, grandi aziende globali, agenzie avversarie, sia statuali che non, enti internazionali. Lo Stato non c’è più, ma esistono comunicatori mainstream globali che ne fanno le veci. Sarebbe infatti interessante, e ne parleremo, analizzare le agenzie di comunicazione e pubblicitarie che si occupano di argomenti apparentemente non commerciali.
Chi ha gestito la fine della guerra fredda, che spesso, nei Paesi marginali del blocco occidentale, era stato un operatore e un avversario nel contesto della stessa guerra fredda, magari non riconosciuto come tale ha deciso che, dopo la propaganda antisovietica, non ci doveva essere più alcun tipo di protezione psicologica e informativa della popolazione.
Errore colossale, che ne ha generati altri: la guerra fredda non è infatti finita, ha solo cambiato di segno e modalità, l’Islam jihadista è un nemico globale (anche di Russia e Cina) e la globalizzazione è una sorta di hobbesiano bellum omnium contra omnes che non fa prigionieri, anche se magari non si spara un colpo.
O meglio, lo si spara nelle aree contese, non in quelle dove è stato già attribuito un padrone.
Quando è caduta la Repubblica Democratica Tedesca, quel Paese aveva un debito di 22 miliardi di marchi, mille milioni di marchi occidentali.
E’ stata una vendita di azienda fallita. Favorita dal cambio uno a uno con il marco occidentale, che ha distrutto nello spazio di un mattino le imprese dell’Est. Ma il vecchio Est sovietico ci ha venduto molti politici, dirigenti d’azienda, funzionari anch’essi, nel senso specifico che si dà al termine nel mondo dell’intelligence, falliti.
Oleg Gordievsky, un grande dirigente dei Servizi sovietici defezionato silenziosamente, come agente doppio, dal KGB nel 1972 e poi, fisicamente, ma era stato trasferito, per così dire, con le tecniche in uso allora nei servizi, già nel 1985, ci ha detto che oggi la Federazione Russa ha più operatori dei Servizi in Gran Bretagna che di quelli che c’erano quando esisteva l’Unione Sovietica.
Anatoly Golitsyn, cittadino della Gran Bretagna dal 1984, ha scritto un libro straordinario sulla destabilizzazione sovietica dell’Occidente, New Lies for Old, bugie vecchie prese per nuove.
Non voglio dire con questo che la Federazione Russa sia solo una maschera della vecchia URSS, anzi, ma desidero sottolineare che il mondo universale e globale è, ancora oggi, una balla. E anche un pericolo.
Non è qui il momento di analizzare il testo di Golitsyn, lo faremo in un prossimo articolo, ma è interessante il suo concetto fondamentale: non vi è una tensione ideologica, come credono gli sciocchi occidentali, tra un sistema politico e un altro, ma uno scontro strutturale e geopolitico, che prescinde dalle ideologie con le quali i mondi attuali e quelli antichi si “vestono”.
Per farlo, il rivestimento, occorre innanzitutto preservare le tradizioni nazionali, che sono una parte sostanziale dell’interesse, appunto, nazionale. Senza interesse nazionale, e quindi senza l’identità corrispondente, si viene messi brutalmente in vendita al miglior offerente. Come sta accadendo oggi in Italia.
Se si espone poi, senza protezioni psichiche e culturali, il popolo a tutte le mode più balzane, spesso ben disegnate e elaborate nei centri di manipolazione attuale del pensiero, allora si vende, appunto, il popolo alle agenzie globali di formazione-disinformazione delle masse.
L’ossessione del gender produce persone che non si riproducono, quindi vanno benissimo per la nuova geopolitica occidentale, che mira alla sostituzione di chi ha perso la guerra detta globalizzazione con i “poveri” africani, o asiatici, in un delirio ingegneristico che manipola popoli, culture, sistemi economici, sulla base di sciocche previsioni, le uniche che questi folli comprendano, di crescita del PIL.
Se non c’è l’innovazione di prodotto, che ormai costa troppo e non ha più mercato nelle nuove povertà occidentali, ci deve essere quella di processo, che si fa soprattutto pagando sempre di meno la forza-lavoro, fino ad un punto di indifferenza che è quello che viene accettato da una parte dei migranti.
Ecco, l’idea di ingegneria sociale dietro a queste follie, che pagheremo carissime. Ciò che conta è quindi solo quello che vale il PIL, quello che vale la produttività media, senza tasse aggiunte, e allora sono accettate dai regimi democratici solo le grandi transumanze; ma sono sempre valide le ideologie che supportano queste, ed altre, azioni similari. L’unificazione dei consumi, la de-occidentalizzazione culturale, la destabilizzazione scolastica e formativa, che non permette al discorso mainstream di manifestarsi nella sua pienezza.
Ma, come ci hanno insegnato i grandi maestri liberali della “scuola austriaca”, la società è sempre un organismo naturale, che non si lascia manomettere impunemente dagli “ingegneri” della società, quelli che spostano popolazioni, oggi, in Medio Oriente, e che si accingono a farlo anche in Europa Occidentale.
Non funziona mai così, il sistema della psiche, che è sempre identitario, il meccanismo della amigdala cerebrale che ci notifica, come recitava il titolo di un grande saggio di Carl Schmitt, l’”amico” dal “nemico”.
Credere quindi che la comunicazione sociale possa trasformare in breve tempo le reazioni primarie dei soggetti è quindi un errore foriero di gravissimi pericoli.
Perché, in fondo, le categorie del politico sono sempre quelle, non ci sono gli amici universali, ma i nemici debellati o comunque depotenziati.
Inimicus e Hostis, nemico personale e nemico della comunità, sono criteri assoluti ma sempre mutevoli.
E’ quindi la voglia di guerra che l’occidente, servo implicito ma comunque sciocco dei suoi nemici, destruttura sempre nella propria popolazione, un popolo che fa fatica ad accettare le allegre ideologie del multiculturalismo o comunque della sconfitta, come i ragazzini che, a Torino e a Manchester, si sono messi le mani sul collo, come a consegnarsi al nemico prima che questo arrivi.
Se arriverà, ed arriverà, la grande ondata del jihad, non ci sarà manipolazione informativa che tenga: molti reagiranno, altri si consegneranno al nemico senza combattere, altri ancora cercheranno di trattare.
Non esiste una manipolazione, pure se fortissima come quella attualmente in azione, che possa unificare i comportamenti in una fase di estremo pericolo vitale.
Eccola, la vera psywar contro l’occidente, che i Paesi occidentali eseguono con cura, ma solo contro di sé, addirittura come se fosse il loro stesso interesse. Siamo noi che ce la facciamo addosso, la guerra psicologica dei nostri nemici.
Abbiamo creato, con i maledetti figli del maledetto sessantotto che ora sono al potere, un mito multiculturale che risente proprio del sistema ideologico che ha permesso proprio al sessantotto di durare.
L’America è dietro alle rivolte dei bambini del sessantotto francese, gli Usa si vendicano contro il concambio favorevole del franco contro il dollaro, svalutato; e che comunque necessita di oro o di valute pregiate per essere, allora, il termine universale di pagamento in Francia.
Il resto deve essere poi silenzio, oggi, per l’ideologia immigrazionista, antimatrimoniale, anti “sessista” (e cosa vuole dire?) o comunque contro quelle idee tradizionali che creano un muro culturale contro la attuale, sedicente, modernità.
Un defezionista dei Servizi sovietici, che aveva lavorato in India, raccomandava sempre, nelle sue conferenze, la stabilità psichica e culturale dei popoli.
Per giustificarsi, mostrava una foto di lui con il notissimo mahatma Maharishi, il punto di riferimento dei Beatles e di tantissime star degli anni ’60 e ’70.
Cosa c’entra il misticismo pseudo-indiano con il KGB? Tantissimo. Perché, spiegava il defezionista, se io induco mode antiscientifiche nell’occidente, ho a che fare con giovani che non studieranno le “cose serie”, e quindi un Paese non avrà una classe dirigente all’altezza delle sue sfide.
Per non parlare poi della moda delle droghe, che ormai si è incistata in tutto l’occidente.
La fuga dei torinesi da Piazza Cavour, 1400 cittadini feriti, di cui otto gravi, è poi un ulteriore segnale di estrema gravità.
Pochi elementi delle forze dell’ordine, ormai al lumicino dopo, appunto, una sequenza di ministri tutti proni al sessantottismo di risulta, pochissimi soldi per la sicurezza e la difesa, una immagine, spesso caldeggiata dai politicanti, di “fascisti” in divisa, come è accaduto, colpevolmente, nella questione dei due Marò detenuti ingiustamente in India, o in tante trattative, in Medio Oriente, che sono state gestite con eccessivo rispetto per i criminali che accettavano di mediare.
Uno stato fondato, quello italiano, da Don Abbondio. Sopire, Sedare, come dice il Padre Provinciale dei Cappuccini al Conte Zio, nei “Promessi Sposi” manzoniani.
Una continua scusa per essere stati “fascisti”, termine che unifica tutte le dittature del Novecento, e anche qui c’è un errore storico grave; e soprattutto per castrare ogni nostra velleità strategica nel Mediterraneo, velleità che oggi, diversamente da quello che accadeva nella Prima Repubblica, non ci possiamo più permettere.
La folle operazione occidentalista contro la Libia, che era ancora nostra con Gheddafi, un colonnello della Sirte che avevamo selezionato, con i nostri Servizi, in un albergo di Abano Terme, va a segno. Noi non contiamo più niente proprio là dove eravamo principi.
La Libia, la Tunisia destabilizzata per prima, guarda caso, dalla fesseria delle “primavere arabe”, lo stesso Egitto, messo dagli Usa nelle mani della Fratellanza Musulmana, dal quale viene liberato da un ottimo capo dei Servizi, Al Sisi.
La destabilizzazione del Maghreb vuol dire la nostra stessa destabilizzazione; e dobbiamo esserne consci.
Allora qualche altra osservazione, per essere sintetici:
a) Noi non abbiamo nessuna ideologia di copertura, contro il jihad, che non sia l’imbecille ripetizione di una sciocca canzonetta di John Lennon. Noi non abbiamo, grazie a queste ignave e incompetenti classi politiche, niente che schermi la nostra popolazione della propaganda del nemico, che infatti si diffonde. Con il nostro sostegno.
b) Noi siamo quelli che, per ignoranza o interesse, accettiamo, appecoronati, la propaganda, che noi peraltro facciamo propria, di accusarci di essere quelli che hanno affamato la popolazione di colore africana. Invece di narrare la verità, ovvero lo youth bulge demografico centroafricano, o il piccolo boom economico di chi rimane in Africa, con meno concorrenti, meno popolazione marginale, meno ancora popolo che chiede aiuto o carità. L’immigrazione è un trasferimento di popolazioni marginali che prima, da colonizzatori, avremmo potuto mantenere in loco. L’immigrazionismo è, come hanno notato alcuni studiosi, una forma di “strategia indiretta” dei poveri contro i ricchi. I Paesi che favoriscono l’esodo sono, dal loro punto di vista, del tutto razionali, depauperano un eccesso di forza-lavoro che non possono integrare e la mandano dai “cattivi” colonialisti.
c) Tutte le operazioni informative dell’occidente europeo sono tali da depotenziare, pericolosamente, la minaccia demografica dell’Islam o comunque dell’Africa.
d) Ma è proprio questa, la strategia finale della comunicazione mainstream? Oppure si tratta di una operazione di ingegneria antropologica che, poi, alla fine, crea più problemi di quanti non ne creda di risolvere? Il famoso “populismo”, che questi poveracci di pseudo-intellettuali declamano come pericolo, non è forse la reazione elettorale di chi ha tutto da perdere con la loro folle globalizzazione? E come intendono agire, con governi sempre più tecnici, che durano naturalmente l’espace d’un matin, oppure con esecutivi che comandino davvero, senza però l’idea ingenua di sistemare le cose e poi ritornare al solito business?
e) E poi dovremmo anche essere, nell’immaginario dell’Africanismo diffuso dai vari google o social media oltre che dai divi on line, coloro che aspettano in gloria il loro momento commerciale e politico insieme della diffusione globale del nostro modo di vita? Ma noi non abbiamo oggi i soldi per gestire, magari con un po’ di disinformazione, gli autori delle stesse minacce jihadiste che ci arrivano? Siamo noi, infine, capaci di replicare all’immagine che il jihad globale ha costruito di noi? No. E anche qui, all’origine, c’è un errore strategico.
f) Fin dai tempi di Brzezinsky, l’Occidente ha creduto di buscar el levante por il ponente. Ovvero, di utilizzare il jihad in funzione antisovietica. Per circondare, proprio come diceva Brzezinsky, l’URSS “con una cintura verde di repubbliche islamiste”. Il jihad afghano diventa quindi globale, con la sua prima grande migrazione verso occidente, durante le guerre balcaniche dei primi anni ’90, avendo per asse la repubblica bosniaca di Alja Izetbegovic; e a Sarajevo Osama Bin Laden era di casa. Nessuno, in quella fase, ha mai pensato che il sostegno del jihad alla folle politica di disintegrazione della ex-Jugoslavia fosse costoso, pericoloso o ambiguo. Nessuno ha pensato, allora, che era meglio un asse russo-serbo delle infinite madrasse jihadiste, dal Kossovo a Tuzla fino a Serajevo e oltre. Al Qaeda allora riempiva un vuoto, e lo stupido senso pratico di molti analisti e decisori occidentali ha fatto il resto, con una esagerazione correlata della nostra forza e della nostra solidità, anche psicologica e politica.
g) Cosa è successo, allora? Semplice. L’occidente non ha mai capito che l’Islam jihadista stava per mettere a segno il programma della sua continuità: dopo Mosca, Washington. Come recitava il testo di una canzonetta allora nelle vette della hit parade afghana, “abbiamo distrutto il Cremlino, distruggeremo anche la casa Bianca”.
h) La mancata protezione psicologica che l’occidente ha messo in atto con le proprie masse ha fatto il resto. In tutto il sistema occidentale si vive come se fossimo ancora in fase di espansione economica. Il che non è, come è ben noto a tutti. Inoltre, gli strumenti di controllo psicologico delle masse sono oggi unicamente legati alla soddisfazione immediata, sessuale, soggettiva, autonoma. E anche simbolica, è una grande sineddoche, la parte per il tutto. Teorizzare il consumismo quando c’è poco da consumare e, soprattutto, quando vi è una polarizzazione di classi sociali che non permette più alcun “sogno”, né americano, né socialdemocratico, né tantomeno liberale, è una pura follia.
i) La comunicazione sociale attuale ha eliminato tutti i discorsi identitari, definendoli tutti “fascisti”, e ha creato uno spazio che sarà riempito solo da quello che i corifei del mainstream occidentale chiamano “populismo”, mentre le masse immigrate sono esposte alla propaganda sistematica del jihad della spada o di quello permanente. Sono arrivati, poveri, in un Paese che sta per divenire povero, e reagiscono come tutti quelli ai quali è stato rovinato un sogno.
j) Anzi, il sistema della comunicazione pubblica ha riunito le sempre maggiori e diffuse distonie in una serie di modelli soggettivi e istintuali prestabiliti: il matrimonio gay, il gender, l’”altro” razziale, il migrante. Si noti bene che fa parte del manipolato discorso ideologico attuale sia l’accoglienza che il rifiuto, sia il pacifismo lattiginoso che la rabbia che schiuma. Ad una crisi identitaria dei propri popoli si è risposto con l’ideologia di un sessantotto da liceo di provincia. Più aumentava la necessità di un nuovo collante ideologico e identitario di massa, più i decisori e le grandi agenzie della mass culture hanno reagito con ideologie preconfezionate che sono sempre modellate sul consumo privato. Che non c’è più. La pubblicità può certo permettersi di dipingere il mondo come se tutto fosse una classe media giovane, benestante, felice e “normale”. La politica no, a pena di perdere ogni contatto con gli elettori, i propri militanti, il popolo, i suoi stessi ideali. Il contrario dell’identità attuale non è il consumo soggettivo, sul quale peraltro si modella tutta la comunicazione politica odierna, ma una nuova identità. Qui, occorre dirlo, i sistemi politici attuali arrivano sempre in ritardo, fieri della loro folle credenza nella manipolazione comunicativa. Il mito dell’Europa arriva come un macigno proprio dopo il fallimento del referendum francese sulla costituzione europea del 29 maggio 2005, la macchina delle “guerre democratiche” crolla quando Colin Powell, allora Segretario alla Difesa Usa, mostra nel febbraio 2003, all’ONU, le famose “fiale” di armi chimiche che sarebbero a disposizione del regime di Saddam Husseyn che, come dice il suddetto Segretario di Stato, è la parte statuale del jihad non statuale, Al Qaeda. Manipolazione positivista e primitiva della pubblica opinione, manipolazione peraltro molto poco professionale; ma vi è, in fondo, l’interesse a svuotare l’Iraq per favorire i sauditi e ridisegnare il Medio Oriente.
k) Anzi, la vittoria Usa in Iraq è un gran regalo strategico all’Iran, al quale è stato eliminato l’avversario storico sunnita. Il primo governatore di Baghdad, poi, dopo la sconfitta delle forze di Saddam, organizzerà il traffico di una città caotica del Medio Oriente come Baghdad mettendo in atto le stesse regole valide per le auto di Boston. Tutto il mondo deve essere come l’occidente, ma non si riesce a mettere nel conto che il mondo non è tutto ad ovest. E non vuole esserlo. Il fatto è che capire il mondo vuol dire soprattutto intus legere, leggere dentro l’Altro, non omogeneizzarlo per forza. Se non lo leggi, poi, sarà sempre Altro e nemico.

l) Quindi, la sequenza psicopolitica attuale è quella della creazione, come peraltro accade in finanza, di una serie di “stati alterati”, che ci si illude di poter gestire. Il primo stato alterato è quello dell’identità corporea, che diviene transeunte e indefinita. Il secondo è il rifiuto della riproduzione, tanto la follia delle “ingegnerie sociali” sostituirà le popolazioni attuali con i migranti, che invece sono titolari di altre identità, che i decisori attuali non vedono e anzi leggono, secondo i canoni del marxismo volgare, unicamente come “povertà” e “bisogno”. Poi, al terzo livello, vi è la destrutturazione delle unità sociali tradizionali non-statuali: famiglia, società civile e poi Stato, entità che sono sostituite da identità fluide, prepolitiche ma capaci, secondo il sessantotto ritardato oggi in voga, di diventare, per usare la terminologia di Elias Canetti, “una massa di distribuzione”. Ma oggi non c’è più niente da distribuire, e allora si crea, ma anzi i dirigenti nemmeno creano, un token, un “simbolo”, un “gettone”, che permette solo la ripetizione del gioco associativo, la sua durata, che si ritiene indefinita. Opportunità e non carriera, gig economy, “economia dei lavoretti”, ma non lavoro, reddito temporaneo ma non salari e stipendi, tutto oggi è token ma non sostanza.
m) Simbolo, sostituzione, soddisfazione parziale, ripetizione. Ecco la catena che unisce comunicazione e economia. E non a caso, in questa fase della storia della comunicazione politica occidentale, tutto ripete le ben note “vittorie” di ieri. La liberazione della popolazione negra in America del Nord. Parziale, come tutte le “liberazioni”, poi la questione femminile o femminista, dopo le antiche suffragette e il grande boom dell’occupazione femminile. Gli studenti, ormai ritenuti unicamente massa di manovra per tutte le “liberazioni”. Viene qui in mente quando il governo federale canadese, negli anni ’70, teorizzò in un suo documento interno che l’educazione dei bambini deve imitare la “rivoluzione culturale” maoista. Ecco, ogni fascia sociale ha oggi come obiettivo non il lavoro, ma quello di comunicare il mainstream, tutto deve essere ricoperto da armi di distrazione di massa che hanno l’unica finalità di cambiare il discorso e fornire identità predefinite a persone che non devono comunque più avere l’identità reale che pure oggettivamente li caratterizza da sempre. Non più operai, ma “cittadini”, non più disoccupati, ma persone “in cerca di lavoro”, non più casalinghe, impiegate, insegnanti, ma solo “donne in carriera”.
n) Ecco, la creazione di una neolingua ben più sottile di quella che teorizzò Orwell in 1984, è parte dell’operazione di creazione di una realtà fittizia. E’ la neolingua che crea la realtà, a furia di ripetizioni ossessive (si pensi alla musica contemporanea) e di proibizioni a ripetere quello che si sapeva da tempo.
o) Oggi si è realizzato il sogno di Platone ne La Repubblica. Sono stati esclusi dalla Nuova Città perfetta i poeti, che nella visione platonica sono infatti quelli che ricordano la storia della Città e le gesta degli eroi. Nel modello globalista, che peraltro l’occidente oggi non ha nemmeno le possibilità finanziarie, militari, strategiche di creare, ma continua a immaginare di esserne capace, occorre dimenticare non solo le identità, che sono tutte “fasciste”, proprie, ma anche quelle degli altri. Ecco quindi che arrivano esilaranti spiegazioni del jihad, che sarebbe la guerra dei poveri (e magari “sfruttati”) islamici del Terzo Mondo, oppure si teorizza l’autoriduzione delle proprie tradizioni, una diminutio che viene utilizzata come forma di “accoglienza” dei soliti “poveri” africani o mediorientali, che risulta essere una autodistruzione comunicativa e mediatica che non ha pari nel mondo occidentale moderno.
p) Siamo ancora colpevolizzati per essere “ricchi”, e magari ormai non più; e tutta la nostra presunta ricchezza verrebbe dallo sfruttamento cinico e baro delle ricchezze naturali del Terzo Mondo, che noi “ruberemmo” ai “poveri”. E’ questo un modo per creare l’accettazione di massa per la nostra povertà prossima ventura, ovviamente, un modo per giustificare artificialmente la globalizzazione, un modo infine per giustificare i nostri nemici. Si noti bene che, poi, la comunicazione sociale contemporanea si basa su tre pilastri: in primis l’ateismo più sbracato, ovvero la perdita di un criterio che vada oltre le temporanee “masse di distribuzione” o mute, come le chiamerebbe Canetti, e quindi un criterio che giustifichi l’istinto più basso come l’unica legge, una legge che sembra soggettiva ma è biologica e universale. L’ateismo “materialista” è un modo per evitare qualsiasi valore verticale, ogni tipo di identità che riguardi lo spirito e quindi anche la cultura.
q) Poi, secondo pilastro, la giovinezza. La società contemporanea è una organizzazione del “giovanimento”, della eterna permanenza di tutti i singoli tra i giovani o tra coloro che si credono tali. I giovani, le donne e, per alcuni elementi, i bambini, sono notoriamente i gruppi che fanno trend in pubblicità. Poi, terzo pilastro, l’odio per la cultura “alta”, la tradizione, insomma, ed è qui è il centro del problema, tutte le identità che sono preesistenti al mondo contemporaneo. Rousseau più Orwell, l’Eden senza Dio, che lo ha creato, l’infanzia eterna contro i pericoli e le amarezze della maturità. Sono queste le immagini del mondo contemporaneo secondo il suo modello comunicativo profondo.
r) Potremmo aggiungere ai tre pilastri anche il mito del leader, ma solo a patto che il capo sia evidentemente insignificante. Il suo ruolo oggi non è quello di fare da katèchon, da colui che “spinge più in là la Fine del Mondo”, ma solo di rappresentare le debolezze, l’ignoranza, il pathos puerile delle masse. Deve essere “buono”, come è appunto “buono” l’Anticristo, nella teologia sciita della Fine del Mondo. E’ solo quando piange che tutti amano oggi il Capo, non quando esercita il suo potere, che deve casomai essere sottomesso a quello del mainstream. Cultura, politica, scienza sono oggi categorie della Ripetizione. Che crea ipnosi.
s) Quindi, il jihad islamico è oggi il “pieno”. Capo supremo, violenza identitaria, onnipotenza della religione, che noi crediamo di combattere con quattro Voltaire da strapazzo, massa stabile, motivatissima e guerriera, mentre noi siamo pacifici sino all’impotenza e ormai unicamente costruttori di vaghe tribù, non di Stati o di comunità. Crediamo di combattere questo “pieno” con il nostro “vuoto”, il rifiuto del pensiero forte, delle identità naturali o delle tradizioni politiche, con l’ossessione addirittura comica per una economia che pure ci sta sfuggendo di mano, con l’eterno presente degli istinti primari al posto della riflessione critica e dei modelli idealistici e superiori del comportamento umano. Non ce la faremo, a combattere questa “buona battaglia”. Noi, come hanno dimostrato le recenti operazioni jihadiste in Europa, abbiamo solo voglia di smettere, di asservirci, perché così forse smetteranno. Noi mettiamo, degni eredi dell’antimilitarismo della sinistra e, a dire il vero, di tanti cattolici, le mani dietro la testa, come segno di resa ad ogni rumore o ad ogni atto violento. Siamo ormai privi di autocontrollo, come è accaduto recentemente in Piazza San Carlo a Torino; e ci basta una bomba carta per generare ben 1527 feriti. La psicopolitica del consumo di massa e di basso livello, applicata alla politica odierna, è quindi del tutto fallimentare. L’identità della cittadinanza, e non dei produttori, crea immagini illusorie di sé. L’Altro, da inglobare e da omogenizzare, non vuole farlo, qualunque braga venga da noi calata, e già sono troppe. Il vuoto che noi abbiamo creato, per “accettare” il non-occidente, è appunto lo spazio che l’Altro occuperà.

Giancarlo Elia Valori