La Napoli immaginaria di Elettra Caramiello

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“Napoli immaginaria” di Elettra Caramiello, giovane e validissima studiosa di cinema e di «media», non è solo una storia del cinema a Napoli oppure di Napoli nella storia del cinema, ma qualcosa di diverso e di più, perché ciò che importa è proprio la rifrazione in queste pagine di quell’entità mitica, sfuggente eppure ineludibile evocata nel titolo (nella Napoli «immaginaria» si riflette anche l’immaginario di Napoli). Valerio Caprara, nella sua introduzione, definisce “Napoli immaginaria” un’opera «densa e necessaria» ed in realtà le prospettive delineate dall’autrice sono così complesse da indurre il lettore a soffermarsi, a riflettere. Sono tanti anche i personaggi illustri che vi incontriamo: Gramsci, Croce, Pirandello, Benjamin e molti altri, né mancano i momenti in cui la Caramiello rilegge alcuni episodi della storia di Napoli in modo acuto ma anche molto personale (dalle quattro giornate alla speculazione edilizia). Insomma le 150 pagine di “Napoli immaginaria” non lasciano indifferenti: veramente si tratta di un’«opera aperta», che suggerisce molteplici prospettive di lettura. D’altronde non è nemmeno facile delineare una descrizione sommaria del libro della Caramiello, presentato al Blu di Prussia il 26 aprile scorso (con la partecipazione dell’autrice, di Serena Angioli, Marisa Javarone, Dario Giugliano, Riccardo Notte, moderatore Enzo La Penna), sarà piuttosto meglio sottolineare alcuni punti. Rilevante è l’attenzione dedicata alla prima fase di sviluppo dell’attività cinematografica, che trova in Napoli un territorio d’elezione. Tra le cose degne di menzione il fatto che tra i primi siti utilizzati per le proiezioni vi furono, già dalla fine dell’Ottocento, la galleria Umberto I ed in particolare il Salone Margherita, luoghi mitici della vita della «belle époque». Tra i pionieri del cinema a Napoli ricordati dall’autrice, bisogna sicuramente menzionare Mario Recanati e poi Gustavo Lombardo fondatore della Lombardo Film, che ebbe la sua prima sede in via Cimarosa. Lombardo, che aveva sposato Leda Gys, destinata a divenire una delle più importanti interpreti del cinema muto, nel 1928 fondò la Titanus, che produsse pellicole destinate a restare per sempre nella storia del cinema (come “Poveri ma belli”, “Rocco e i suoi fratelli”, “Le quattro giornate di Napoli”). Non meno rilevante la figura di Elvira Notari, la prima donna regista italiana, fondatrice con il marito Nicola della Dora Film (era soprannominata la «marescialla» per il suo carattere autoritario); il mondo ritratto dalla Notari è quello popolare, la «Napoli misera dei bassi, delle case dei pescatori, della vita degli scugnizzi, del dramma quotidiano di chi non ha niente», un mondo descritto con notevole realismo, al quale non sono estranee le suggestioni letterarie di autori come Di Giacomo o la Serao. Quello della Notari era un naturalismo soffuso da una vena di malinconia, caratterizzato da una recitazione senza eccessi. Del resto la regista, come alcuni autori sovietici e poi molti autori neorealisti, ricorreva anche ad attori scelti nella strada. Forse anche per questa riluttanza alla mitografia delle «divine» e ad ogni oleografia celebrativa, la Dora Film incontrò difficoltà con la censura e terminò la sua attività nel 1928. Nel secondo dopoguerra il neorealismo trovò a Napoli grandi e geniali interpreti ma ebbe sempre tonalità particolari. Un caso affascinante è quello di Nanni Loy, regista sardo di origine ma intensamente legato al mondo napoletano. Con “Le quattro giornate” (1962), ove si avvale con maestria di materiale documentaristico, ci dà un capolavoro assoluto; nessuno dimenticherà mai gli scugnizzi e il direttore del riformatorio, il capitano Stimolo o la storia di Maria. La genialità di Loy è stata quella di non indulgere alla retorica (tentazione cui era facile cedere). Parecchi anni più tardi Loy ci darà un film di indole profondamente diversa, “Mi manda Picone”, che Elettra Caramiello definisce acutamente «commedia pirandelliana» (forse anche per qualche analogia con la vicenda del “Fu Mattia Pascal”), un film «viscerale e surreale» allo stesso tempo, percorso da una vena di humour tipicamente partenopeo, ove però la realtà rappresentata, che evoca situazioni di degrado, corruzione, malavita, appare poi così intimamente ambigua e contradditoria da confinare in secondo piano una lettura di tipo sociologico. E contro una prospettiva tendente a privilegiare a senso unico il «mito di una scuola politicamente e sociologicamente orientata», sembra pronunciarsi anche Valerio Caprara nella sua introduzione, ove dà un grande rilievo a “Gomorra”, il film e la serie, sottolineando come negli scenari delle periferie degradate, dei labirinti di cemento, gli esseri umani siano ormai delle presenze secondarie che possono essere facilmente cancellate. Dunque una rappresentazione drammatica ed incisiva, iperrealistica e talvolta surreale, che tuttavia – com’è noto – non ha mancato di suscitare inevitabili reazioni avverse. Lo spazio è tiranno ed in questa sede è possibile solo fare i nomi dei tanti autori, importanti e talvolta grandissimi, evocati in “Napoli immaginaria”, che a vario titolo hanno fatto la storia del cinema partenopeo e di quello italiano (ma si potrebbe dire di quello mondiale), anche perché ognuno di essi meriterebbe una trattazione a parte: Francesco Rosi, Vittorio De Sica, lo stesso Eduardo De Filippo, e poi Tornatore (per “Il camorrista”), la Wertmuller, Capuano, Piscicelli, Corsicato, Troisi, lo straordinario Martone, Garrone, Sorrentino (mi scuso in anticipo per le inevitabili omissioni e dimenticanze). Sono poi da segnalare alcuni sviluppi apparentemente non essenziali e per così dire periferici che caratterizzano questo intarsio così ricco: l’attenzione dedicata al fenomeno Merola, l’assoluta predilezione per il film “Il sorpasso”, ben più di una commedia all’italiana, l’importanza assunta dall’isola d’Ischia come scenario di molte pellicole, la rievocazione di un personaggio come Angelo Rizzoli. Termino rinnovando l’invito alla lettura di “Napoli immaginaria”, opera capace di sollecitarci in profondità, che si legge e si rilegge sempre con interesse. Fulvio Tuccillo