L’ Olanda frena i radicali ma non la corsa del dollaro

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Nelle elezioni olandesi la temuta ascesa di Geert Wilders e del suo partito di estrema destra (PVV) non c’è stata. Dunque, la vittoria del partito del primo ministro Mark Rutte  ha il merito, se non proprio di rilanciare spirito ed ideali europeisti, quanto meno di accantonare per un momento lo spettro della disgregazione comunitaria paventata dai più. Certo, il partito di Rutte conquista 33 seggi, otto in meno rispetto al governo precedente, per cui dovrà dare inizio – accade non solo in Italia – ai colloqui di coalizione per formare una nuova maggioranza. E le consultazioni potrebbero richiedere settimane, forse mesi. Ma non è questo il punto che qui più interessa.

Alla sconfitta della destra radicale olandese gli analisti hanno ricondotto anche l’apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro (di oltre una figura percentuale, 126 pips per l’esattezza) che si è verificato, giovedì sera, con la pubblicazione dei nuovi tassi di interesse decisi dalla Federal Reserve a conclusione del meeting di due giorni del Federal Open Market Committee (Fomc),  braccio operativo delle politiche monetarie statunitensi. La qualcosa lascia un po’ perplessi, almeno sotto l’aspetto temporale, dal momento che le urne olandesi erano ancora aperte quando ha parlato Janet Yellen. Ma tant’è. A volte gli analisti le provano tutte per spiegare gli effetti che contraddicono le loro previsioni della vigilia. In breve, dall’aumento dei tassi valutari di 25 punti base (e, dunque, ora sono allo 0,75% -1%), sulla scorta peraltro di buoni indicatori della contingenza economica Usa, ci si sarebbe semmai aspettato un apprezzamento del biglietto verde, non certo l’indebolimento. Per farla breve, investitori e traders posizionati short fin dalla mattina sul rapporto eur/usd hanno dovuto correre (e non poco) ai ripari. In più di un caso, rimettendoci. Pazienza.

Il fatto è che il mercato sconta tutto, spiega John J. Murphy nel suo manuale di analisi dei mercati finanziari. E della decisione della Fed da tempo, ormai, nessuno più dubitava. Insomma, gli apprezzamenti del dollaro già c’erano stati (al momento della pubblicazione dei tassi il dollaro quotava 1,05 euro, ma era arrivato a quotare finanche 1,0339 nei giorni precedenti) sicché alle “mani forti” del mercato è stato fin troppo semplice passare all’incasso due volte, la prima con la vendita e la seconda con l’acquisto. Non è storia nuova. Non sarà l’ultima. Certo, all’impennata dell’euro (e, ovviamente, di tutte le monete in coppia con il dollaro) hanno contribuito anche i toni da colomba della Yellen – gli analisti ora pensano che i tre rialzi previsti per il 2017 potrebbero non esserci, rinviati al 2018 – ma la sostanza delle cose non cambia.

Da osservare che la decisione della Fed di aumentare i tassi non ha contagiato né la Bank of Japan (BoJ) e né la Bank of England (BoE). Riuniti, a ruota, i rispettivi board dei due istituti hanno lasciato tutto invariato: politica monetaria ultra espansiva, il primo; tassi di interesse (0,25%) e Quantitative Easing, il secondo. 

Ma torniamo ai problemi del Vecchio Continente. Per il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco il vero nodo da sciogliere è la mancanza di fiducia tra i paesi dell’Unione. “Ci vuole una gestione di bilancio unica, ma per farlo ci vuole un debito comune” ha spiegato, parlando all’Ispi. Ma la Germania il nostro debito non lo vuole, e giustamente, fa capire il governatore. “Tra noi e i tedeschi non c’è fiducia, il nostro debito è al 130% e quello dei tedeschi al 70%, Ciampi aveva promesso che lo avremmo portato al 60%. Non abbiamo fatto quello che avevamo promesso: è l’incapacità di questo Paese di fare i compiti per crescere rapidamente e meglio”, ha aggiunto.

Debito che a gennaio – giusto per ricordare – si è ingrossato di altri 33 miliardi, arrivando a quota 2.250 miliardi. A spendere, in particolar modo, sono soprattutto le amministrazioni centrali dello Stato. Anche perché a quelle periferiche, un po’ per la stretta sui trasferimenti, un po’ per l’azione della magistratura comincia a mancare, per così dire, il brodo di coltura. Solo questa settimana, infatti, arrestati per appalti e camorra, in Campania, 69 persone tra politici, impiegati, professionisti e finanche docenti universitari.

Incapacità, volendo, che giocoforza emerge ancora una volta anche dall’indice della produzione industriale della Vecchia Europa, che appunto cresce dello 0.9% nella zona euro, dello 0.5% nella UE a 28, ma non in Italia (-2,3% a gennaio scorso e -0.5% su base annua). E, forse, anche da un altro elemento. Pur di evitare il referendum promosso dalla Cgil il governo ha deciso di non introdurre correttivi, di non limitare gli abusi dei voucher del lavoro, ma li abolirà del tutto. Insomma, butterà dalla finestra con l’acqua sporca anche il bambino. Come sempre.