Apollineo e dionisiaco, a Nola 40 tele di De Chirico il pittore dell’avvenire

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Olii su tela, disegni, tecniche miste, incisioni e litografie: circa quaranta opere tra i lavori di uno degli artisti più rappresentativi della storia dell’arte del XX secolo, saranno esposte a Nola, dal 18 febbraio al 18 marzo 2017. L’importante iniziativa, ideata dal critico d’arte Pasquale Lettieri, direttore del dipartimento di progettazione e arti applicate dell’Accademia di Belle Arti Fidia, è stata promossa dall’amministrazione comunale di Nola, guidata dal sindaco Geremia Biancardi, con l’assessore alla cultura Cinzia Trinchese e organizzata dalla “Friarte” di Roma.
In occasione dell’inaugurazione, in programma per le ore 18.00 del 18 febbraio 2017, interverranno il Sottosegretario ai Beni Culturali Dorina Bianchi, il consigliere regionale Pasquale Sommese ed Antonio Giuseppe Martiniello, Ambasciatore Unesco giovani per la Campania ed è prevista una performance dello stilista Gianni Molaro.
 

In esclusiva per il denaro.it il contributo critico del curatore della mostra Pasquale Lettieri.
 
“La solitudine dell’uomo ha trovato in De Chirico un altissimo e modernissimo poeta di intensità leopardiana. Che questo comporti, da parte del Maestro una condanna quasi totale dell’arte contemporanea non deve trarre in inganno circa la vitalità della sua presenza e della sua partecipazione alla sensibilità del tempo in cui esistiamo. Già Degas aveva detto che “Bisogna scoraggiare le arti”, e ciò non è mai stato motivo di scandalo. De Chirico semplicemente ha compreso, con enorme anticipo sui pittori della sua generazione (e questo a livello mondiale, non semplicemente nazionale), che una pittura nuova non potrà mai consistere in una novità di formule o di trouvailes, per il semplice motivo che la pittura stessa è una trouvaille. Quel che conta sul serio è la verità che vi è insita, una verità che può essere ricercata nel “mistero” metafisico come nella “bella materia” della pittura antica.
Nessuno, mi sembra, ha compreso che il senso profondo dell’operazione di De Chirico, pictor optimus, risiede appunto in questa critica, nella coscienza netta del divario tra “grande pittura” e mondo moderno. La sua assunzione di tecniche e forme del passato non è nostalgica, o almeno non è soltanto tale; essa cela una satira appassionata verso una umanità dalla quale il pittore, solitario non per vocazione o per scelta, ma perché costrettovi, è in pari tempo respinto e attratto. 
E questa satira il Maestro la esplica anche nei riguardi di sé medesimo, dipingendosi nelle pose e con i costumi più strani, esplorando impietosamente il proprio volto o il proprio corpo, come nello stupendo “Autoritratto nudo”. De Chirico si conosce benissimo; sa di essere un uomo profondamente buono e intelligente, esposto ai colpi altrui senza altra possibilità di difesa che quella di prevenirli criticandosi.
La pittura metafisica, da questo punto di vista, non è diversa dalla sua ultima produzione: ciò che il Maestro pone in discussione è sempre e comunque la profonda asincronia tra vita poetica e vita reale, tra il proprio modo di essere e quello dei più.
Che De Chirico, alla lunga e contrariamente al parere della maggioranza abbia avuto ragione, lo si vede da quanto accade fra i giovani; basti por mente alle copie da Picasso o da Cezanne di un Lichtenstein e a tanti altri casi analoghi (penso alle scene caravaggesche di Bill Viola). Tra i cavalieri secenteschi di De Chirico e Picasso ridotti a fumetti di Lichtenstein vi è un nesso non trascurabile; sempre tenendo conto che il primo ha precorso l’americano di almeno trent’anni e con ben altro prestigio culturale e artistico e soprattutto con ben altro coraggio. Poiché oggi, da parte dei pop e video artists è facile “giocare”, per esempio al “giorgionismo”; quando l’ha fatto De Chirico il rischio di essere preso sul serio, di non poter far comprendere quanto di amarezza e di poesia e di ironia si celasse dietro un “gioco” (un gioco terribilmente difficile) che poteva sembrare meramente fine a se stesso, era tremendo.
 
autoritratto
 
Ma De Chirico, come tutti gli artisti sommi, non ha mai avuto paura di andare controcorrente e di porre a repentaglio la propria stessa fama.
Il fatto di esporre opere che De Chirico non abbia eseguito nei suoi più celebrati periodi giovanili ci costringe a ribaltare il punto di osservazione consueto. Per una volta siamo obbligati a giudicare il maestro senza tener conto almeno entro certi limiti, della risonanza universale dei suoi capolavori degli anni tra il 1910 e il 1920 circa; per una volta il vecchio e ostinato luogo comune critico, secondo il quale la grandezza di De Chirico consisterebbe nella sola pittura metafisica, cade da sé, per mancanza d’alimento. E i testi stanno sotto i nostri occhi e parlano chiaro con l’eloquenza dei segni e delle invenzioni, col pathos delle nostalgie classicistiche e con l’ironia penetrante del “imitazione” secentesca. De Chirico è stato sempre, in ogni suo periodo, un grandissimo pittore e tale rimane e come tale va onorato. Egli può avere avuto momenti di crisi o di stanchezza o di abilità puramente manuale (e che dire, allora, del vero e proprio disfacimento dell’ultimo Carrà, e degli stereotipi formali nel tardo Morandi?), ma ancora oggi la sua arte è capace di incidere nel vivo del sentimento contemporaneo. Con grande fatica anche i critici più sprovveduti e bigotti si sono resi conto che la condanna bretoniana del De Chirico post-metafisico non ha alcun valore reale.
Opere come le “Ville romane” o come i “Bagni misteriosi”, rappresentati in questa mostra, sono state ormai da molti annesse, seppure con grandi riluttanze, al regno ristretto dei capolavori della pittura mondiale. Sicuramente, a mano a mano, altre opere subiranno la stessa glorificazione. Ma questo non basta poiché i riconoscimenti parziali non fanno che sviare l’attenzione dal problema di fondo, vale a dire la complessità, ma anche l’integrità monolitica della personalità artistica di Giorgio De Chirico. Una personalità che va presa in blocco, poiché non vi è fase o periodo della sua carriera che possa essere considerato a se stante.   
L’Italia ha dato ben poco al suo massimo artista del XX secolo. È giunto il momento di affermare che De Chirico non è un pittore del passato da soffocare in vane nuvole di incenso, ma è il pittore dell’avvenire. Non solo nel senso che la vera misura della sua grandezza è ancora tutta da scoprire, ma soprattutto perché egli è il più moderno, il più vivo e geniale tra gli artisti della propria generazione, il più ricco di intuito e di preveggenza”.