Terrorismo e deflazione: anno nuovo problemi vecchi

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Come sarà l’anno appena entrato? Né più né meno come quello archiviato. Se infatti il buon giorno si vede dal mattino, nel Nuovo ci portiamo dietro tutte le questioni lasciate irrisolte nel Vecchio, sia in campo internazionale e sia in patria. Per il risveglio nel Nuovo Anno, infatti, la squilla è venuta dalla Turchia dove i terroristi dell’Isis, i quali notoriamente non amano i fuochi d’artificio ma micidiali armi da fuoco, hanno festeggiato il Capodanno con l’ennesima strage: 39 morti di cui almeno 16 stranieri. E sui media, tra le altre cose, s’è tornato a discutere anche del ruolo a dir poco ambiguo di Recep Tayyip Erdogan, che per un verso finanzierebbe gli islamisti e l’altro li combatterebbe, per un canto prende soldi dall’Europa e partecipa col suo Paese alla Nato e per l’altro invece fa accordi con Vladimir Putin e con la Russia. La prudenza, tuttavia, impone di almeno non ripetere lo stesso tragico copione recitato con la Libia.

Sul fronte interno, il Nuovo Anno ci ha portato la deflazione, ovvero un livello generale del calo dei prezzi (il contrario dell’inflazione, dunque) che però – a dispetto delle apparenze – non si traducono in un vantaggio per i consumatori, poiché il fenomeno è appunto causato da un freno della spesa di questi ultimi, (legato, evidentemente, alla ridotta capacità del potere di acquisto e dunque del reddito) oltre che della spesa delle aziende. Ed è la prima volta che il fenomeno si presenta in quasi 60 anni. Era precisamente dal 1959, puntualizzano le statistiche, che non accadeva. 

Del resto, c’è poco da aggiungere. I lavoratori italiani guadagnano in media 14,1 euro all’ora, ci ricorda sempre l’Istat. Ai dirigenti vanno in tasca tre volte e mezzo – sempre in termini di media, concetto che riconduce al pollo di Trilussa, per intenderci – la paga degli impiegati d’ufficio. In genere, tra gli stipendi più grassi e quelli più magri “ballano” almeno 12,7 euro l’ora. E gli stranieri guadagnano il 18,6% in meno. Così come le donne.

Attenzione, però, a non saltare su facili conclusioni. Detto così, infatti, il dato è fuorviante: ignora cioè le molteplici distorsioni presenti nel sistema. Per esempio: il 10 per cento dei dipendenti con retribuzione oraria più elevata percepisce almeno 12,7 euro in più per ogni ora retribuita rispetto al 10 per cento dei dipendenti con stipendi inferiori. I dirigenti hanno una retribuzione oraria che vale cinque volte quella delle professioni non qualificate, tre volte e mezza quella degli impiegati d’ufficio e oltre tre volte superiore alla media; se sono maschi, poi, hanno una volta e mezza la paga delle colleghe. Insomma, è la concentrazione dei redditi alti – tra le altre cose – a spingere evidentemente verso la deflazione. A sinistra – se ancora esiste in Italia – qualcuno dovrebbe ricordarlo. La equi-distribuzione del reddito, insomma, conviene al Paese.

Per carità di patria tralascio il dato relativo alle differenze salariali considerate per regioni. Ovviamente, le retribuzioni orarie più basse si registrano nel Mezzogiorno, in Puglia (11,9 euro), Molise (12,2 euro), Basilicata e Calabria (12,1 euro).

I media, inoltre, ci ricordano che con l’anno Nuovo sono ormai tre i lustri nel corso dei quali ci accompagniamo all’Euro, la moneta comunitaria vissuta, ormai, da gran parte della popolazione più come una maledizione che un’opportunità. Nell’occasione s’è tornato pure a parlare del “nefasto” rapporto di cambio con la lira. Non è il caso di tornarci. Non in questa sede, almeno. Resta il fatto che  con la moneta unica  i prezzi sono praticamente raddoppiati. E c’è anche questo nella deflazione, evidentemente

E c’è anche la precarietà del posto di lavoro, quando c’è. Precarietà che ora acquista la connotazione dei voucher, i quali per il segretario della Cgil Susanna Camusso “sono diventati i pizzini che contribuiscono qualsiasi attività” e perciò vanno aboliti. Con il referendum, unitamente al Jobs Act, di cui appunto la Cgil s’è fatta promotore, ma contro il quale l’avvocatura dello Stato ha già presentato tre memorie. Ininfluente, nel dibattito, la certificazione della Cgia di Mestre, secondo cui i voucher rappresentano solo lo 0,3% del monte ore complessivo lavorato in Italia. In discussione, evidentemente, è l’intero paniere non il singolo prodotto.

Infine, s’è tornato a parlare anche di immigrati, quest’anno Nuovo, dal momento che in un centro di accoglienza del Veneto è scoppiata una rivolta vera e propria. E di contro l’insofferenza di sempre più italiani.

Se può consolare, però, l’Istat ci informa che finalmente migliora la pressione fiscale. Di 2 decimi di punto. In ogni caso resta al 40,8%. Dunque, non ne facciamo un dramma, anche perché siamo rimasti i soli probabilmente in Europa a credere ancora che la Befana esiste. Quest’anno ad acquistare la tipica calza con i dolci siamo stati circa 16,8 milioni di italiani, almeno 800mila in più rispetto allo scorso anno. E però abbiamo speso di meno.