Tassi usurari, nuova sentenza della Cassazione a tutela del debitore

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Con la sentenza n.17150 del 17.08.2016, la sezione prima della Corte di Cassazione è intervenuta, nuovamente, sulla oramai annosa questione concernente il rispetto della normativa sull’usura nei rapporti bancari di conto corrente. 
La pronuncia merita approfondimento sia per i principi, in parte nuovi, sanciti in riferimento ai rapporti bancari sorti prima dell’entrata in vigore della legge n.108/1996 (ma ancora in essere a tale epoca), sia per la riaffermazione del principio della rilevabilità d’ufficio della fattispecie usuraria.
Per quanto concerne la prima questione, il Supremo Collegio ha stabilito che debbano considerarsi inefficaci – con effetti ex nunc – le clausole che, ancorché contemplate in contratti sottoscritti antecedentemente all’entrata in vigore della legge sull’usura del marzo 1996, prevedano l’applicazione di tassi di interesse la cui misura risulti “oltre soglia” alla luce delle rilevazioni trimestrali operate a decorrere dal 1997. 
I giudici ermellini, difatti, richiamando un precedente arresto della Corte di legittimità (sezione terza, sentenza n.1689 del 2006) hanno dapprima ribadito – in termini più generali – che <>.
Chiarito il principio generale, il Supremo Collegio ha poi precisato, che “in tema di interessi usurari, le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell’usura, pur non essendo retroattive, in relazione ai contratti conclusi prima della loro entrata in vigore comportano la inefficacia ex nunc delle clausole dei contratti stessi, sulla base del semplice rilievo – operabile anche d’ufficio dal giudice – che il rapporto giuridico non si sia esaurito prima ancora dell’entrata in vigore di tali norme e che il credito della banca si sia anch’esso cristallizzato precedentemente”.
In sintesi, benché il legislatore – con la legge n.108/1996 e con il collegato art.1815 c.c. – abbia inteso sanzionare la volontà di imporre al debitore tassi di interesse che si rivelino usurari all’atto della loro accettazione (cosiddetta “usura originaria”), deve ritenersi – a parer di chi scrive – chela Corte di Cassazione abbia inteso ribadire che in ogni caso non possa consentirsi la concreta applicazione di un tasso di interesse usurario (cosiddetta “usura sopravvenuta”).
Ciò che non emerge in maniera inequivocabile dalla sentenza in commento è quale sia il tasso di interesse applicabile in sostituzione di quello divenuto usurario. Tenuto conto che forzata sarebbe l’invocazione del precetto sanzionatorio disciplinato dall’art.1815 c.c. – secondo il quale in ipotesi di pattuizione usuraria il creditore perde il diritto a vedersi pagati gli interessi (potendo pretendere la restituzione del solo capitale prestato) – il buon senso deve indurre a ritenere applicabile il “tasso soglia” in luogo di quello, maggiore, convenuto tra le parti.
Il secondo importante principio ribadito dai giudici ermellini attiene alla rilevabilità d’ufficio dell’usurarietà del rapporto (quantomeno nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo). La Corte, difatti, richiamando anche in tal caso propri precedenti pronunciamenti (sezione prima, sentenza n.24483 del 2013; sentenza n.21080 del 2005) ha ribadito che <>.
A parere di chi scrive, la rilevabilità d’ufficio dell’usurarietà del rapporto ha, quale diretto corollario, l’inapplicabilità del principio “iuris novit curia”, principio talvolta invocato dalla giurisprudenza di merito onde rigettare la domanda attorea di accertamento dell’usurarietà del rapporto non supportata dall’allegazione dei decreti ministeriali trimestralmente emanati ex legge n.108/1996.