BORSE E BENPENSANTI PER UN GIORNO AFFOSSATE DAL CICLONE TRUMP

61

Ed ora tutti a correre in soccorso del vincitore. Il vizio patrio non è di oggi, come aveva già notato in circostanze analoghe, l’altro secolo, con impareggiabile arguzia e sarcasmo Ennio Flaiano. Tutti a tessere, ora, se non le lodi almeno le ragioni che hanno portato Donald Trump alla Casa Bianca. Ragioni, però, che nessuno degli osservatori (in ogni caso la stragrande maggioranza) alla vigilia aveva notato prima. Tra apocalittici o integrati, infatti, avrebbe a sua volta detto Umberto Eco (annoverandosi, immagino, tra i secondi) il giornalismo e l’establishment nostrano non hanno mai avuto dubbi: integrati e ferventi sostenitori della Clinton.  

Donald Tump – ha intelligentemente scritto Emiddio Novi su “ilnapoletano.org” – “aveva contro il sistema: dal suo partito, a tutti i media, al presidente Obama, alle banche e naturalmente anche la gerarchia cattolica”. Finanche il Papa – annota – “gli aveva preferito l’abortista Hillary Clinton, e avviava l’epurazione di quei settori della chiesa americana che seguivano il magistero di Wojtyla e Ratzinger”.

Ha vinto, dunque, contro tutti i pronostici, Donald Trump. Cogliendo tutti di sorpresa. Prima fra tutti i mercati, che infatti si erano predisposti baldanzosamente long prima di ripiegare frettolosamente sul lato delle vendite. A farne le spese, nella notte tra martedì e mercoledì scorsi, sono state ovviamente, a causa del fuso orario, innanzitutto le piazze asiatiche (a Tokyo l’indice Nikkei 225 ha perso il 5,36%) e, a seguire, quelle europee.

Ma la sorpresa è stata velocemente digerita, come si è detto, a cominciare proprio dalla finanza (gli affari sono affari), che sempre a Tokyo, il giorno dopo, ha salutato il nuovo presidente con i fuochi d’artificio: il Nikkei ha chiuso a + 6,72% stavolta. Quindi – realpolitik impone – dai politici e dai commentatori (integrati) della grande stampa. I quali – i maître à penser, intendo – soltanto ora si accorgono, e nemmeno tutti, dei danni causati da una classe politica che ha distrutto – per dirla sempre con le parole di Novi – la classe operaia Usa, quel poco di sanità pubblica che ancora resisteva, difeso gli evasori, privatizzato l’esercito, armato e finanziato i terroristi dell’Isis e che, colmo dei colmi, si pagava le spese private con i fondi raccolti per costruire ospedali e scuole. Una classe politica che l’americano medio ha inteso platealmente punire, preferendogli il ricco e rozzo Donald, figlio del popolo, self made man, incarnazione del “tipo” americano per antonomasia.

Uomo e spirito di cui, però, non sembra ancora aver preso contezza il presidente della Commissione europea – quel Jean-Claude Juncker espressione plastica dei poteri finanziari che sono ovunque nell’occhio del ciclone della gente comune – il quale al nuovo inquilino della Casa Bianca manda addirittura a dire: “Vorremmo sapere come procederanno le cose con le politiche sul commercio globale; quali intenzioni abbia sulla Nato e quali politiche intenda perseguire sul clima”. Impudente.

Ed è lo stesso che, con particolare riguardo all’Italia e al suo “discolo” presidente del Consiglio, interprete rigoroso dell’austerità, puntualmente s’impanca distribuendo voti (negativi, ovviamente) e gaffe (“Me ne frego delle posizioni di Renzi”, ha detto nel corso della recente riunione della Commissione).

Con riferimento alle cose domestiche, quindi, le solite due o tre annotazioni della settimana apparentemente contraddittorie. La prima riguarda il contraccolpo registrato dalla produzione industriale: -0,8% a settembre. Battuta d’arresto dopo due mesi di forte crescita. E, però, la variazione annua resta positiva dell’1,8%. Peraltro, se può confortare, nello stesso periodo la produzione industriale è scesa anche in Germania: -1,8% rispetto al 3% del mese precedente.

Da annotare, inoltre, magari con un certo sussiego, la bocciatura del Tribunale di Milano del ricorso presentato dal presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida sul quesito referendario. La giudice Loreta Dorigo scrive infatti che “il diritto di voto non pare leso dalla presenza di un quesito esteso e comprensivo di un’ampia varietà di contenuti”. Aggiungendo poi che “è lo stesso articolo 138 della Costituzione a connotare l’oggetto del referendum costituzionale come unitario e non scomponibile”. Chapeau.

Infine, con il Rapporto sull’Economia del Mezzogiorno la notizia che al Sud il Pil 2015 al Sud dopo sette anni è tornato a crescere (+1%) superando il resto del Paese (+0,7%). E, tuttavia, Svimez ricorda pure che dal 2007  “il Pil in quest’area è calato del -12,3%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro-Nord (-7,1%)”. Non solo. Il sorpasso non si ripeterà quest’anno. Né si arresterà la fuga dei giovani. Dal 2012 sono scappati in 478 mila e di questi 133 mila sono giovani laureati.