La Villa Floridiana e l’emozione di due calici incrociati

102

Villa Floridiana. Basta la parola e subito negli occhi di ogni napoletano scorre liquida l’evocazione di corse e giochi infantili tra i viali alberati. Almeno una volta chi è napoletano ha passeggiato in quel giardino. Da bambino ha caracollato tra i suoi viali, nell’adolescenza vi si è rifugiato durante i “filoni” a scuola, da genitore ha sperato che l’ampiezza del luogo percorso in bicicletta o a piedi potesse stroncare l’eccesso di energia dei piccoli di casa, e da anziano ha coronato il sogno di un indisturbata lettura del quotidiano sulle panchine che fiancheggiano i viali. La domanda è: quanti dei tantissimi tra frequentatori e visitatori occasionali di quel giardino hanno azzardato la visita all’interno della Villa Floridiana? Della costruzione, intendo. Quella che una delle archistar del 1800, Antonio Niccolini, restaurò su incarico della duchessa di Floridia, moglie morganatica di Re Ferdinando. La duchessa che mai diventò regina, lo elesse ad architetto di famiglia commissionandogli anche il restauro di quel Palazzo Partanna che il suo generoso e anziano consorte d’anima le volle regalare. Ogni tanto l’edificio è sede qualche iniziativa: concerti la domenica mattina, qualche esposizione d’arte. Poco altro. Tutti conoscono La Floridiana, ma dei suoi interni c’è davvero poca memoria. Oh perbacco, come mai? Gli interni sono forse deludenti, poco interessanti, o forse la visita non ha mordente? Ovviamente gli interni non solo sono interessanti dal punto di vista storico e artistico, ma permettono a un visitatore dalla conoscenza strutturata di godere delle collezioni di uno dei suoi ultimi proprietari Placido di Sangro, duca di Martina. L’importante è che il visitatore sia un appassionato, un collezionista, uno storico. Il Turista senza gradi o stellette, dalla cultura media, a caccia di emozioni da portare con sé alla fine del suo giro turistico, può trovare questa visita non propriamente interessante: bacheche ed espositori pieni di oggetti incantevoli di cui poco si deduce se non la provenienza dalle didascalie predisposte, peraltro, solo in lingua italiana. Ambienti inanimati dove protagonista è l’assenza. Perché ciò che manca è proprio l’anima di chi ha collezionato quegli oggetti, di chi ha abitato quelle stanze. Manca cioè l’interpretazione del luogo, della sua vita e della vita di chi lo ha abitato. Eppure la villa ha avuto una vita interessante, è stata il teatro di una grande storia d’amore, ha accolto famiglie nobili che vivevano intere estati tra quelle mura, ricevendo amici, passeggiando nei viali alberati del giardino. Bisogna comunicare al pubblico tutto questo: quando un turista decide di effettuare la visita in autonomia, dovrebbe comunque avere il supporto di strumenti, anche non necessariamente informatici e d’alta tecnologia, messi a disposizione della gestione per facilitare la comprensione e l’apprezzamento di ciò’ che si espone. Sembra una sciocchezza, ma i cartoncini a disposizione del pubblico dovrebbero essere almeno in doppia lingua, i numeri di riferimento dovrebbero rendere facilmente identificabili gli oggetti, e nel caso il turista richieda l’ausilio di una visita guidata, essa dovrebbe non solo essere ricca d’informazioni, dovrebbe prima di tutto coinvolgerlo. A Bath, al civico n.1 del Royal Crescent c’è un museo dov’è stata riprodotta una casa del 1700. La visita deve essere prenotata con anticipo di molte settimane. Perché? Perché i visitatori desiderano immergersi nell’atmosfera che i gestori hanno ricreato, vogliono vivere l’esperienza di un modo di vivere antico che altrove non ritroveranno. Non avranno una rappresentazione teatrale, non troveranno Disneyland. Come in tutte le case anche qui c’è la cucina. In quest’antica casa le stoviglie non sono allineate in una triste vetrinetta, sono sui banchi e sui tavoli come se qualcuno fosse appena uscito dalla stanza per tornarvi a usarla dopo qualche minuto. I piatti e i bicchieri di legno o di peltro, quelli usati dalla servitù, sembrano pronti per l’uso, e lungo le pareti sono appesi alcuni dei moniti che i padroni lasciavano per la servitù. Nella sala da pranzo, che rappresentava lo status della famiglia, la tavola è apparecchiata con tutte le preziose stoviglie in porcellana e argento. Nello “studio del gentiluomo” fa bella mostra il cabinet de curiosités, dove erano collezionate le cose più disparate: teschi di animali, conchiglie, uova di struzzo, zanne, etc. La “nostra “ Villa Floridiana: un insieme di bacheche e vetrine che espongono ora la collezione di bicchieri ora le antiche posate, più avanti ceramiche e altri oggettini. E poi quadri, mobili, alcuni di gran pregio. Senza emozione si prende atto, si ammira (e si potrebbe non ammirare tanta bellezza?) e si passa al prossimo espositore. Manca il coinvolgimento che faccia provare al turista l’emozione di abitare tra quegli spazi, di usare quei bicchieri pregiatissimi, di misurarsi nella sfida a bere da bicchieri dal piede contorto e improbabile. Eppure anche solo l’immagine di due bicchieri incrociati come per un brindisi d’amore, potrebbe bastare a rievocare la storia della moglie di re che mai fu regina. Abbiamo tantissime storie di grande potenza emotiva. Impadroniamoci delle emozioni che emanano e trasferiamole ai turisti. Saremo imbattibili.