“31salvitutti” e la musica urbana di Flo

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in foto Flo, nome d’arte di Floriana Cangiano

di Rosina Musella

Pubblicato il 13 novembre il nuovo album “31salvitutti” della cantautrice napoletana Flo, prodotto da Arealive srl e in cui hanno suonato Davide Costagliola, Marcello Giannini, Michele Maione e Sebastian Martel.
Flo, nome d’arte di Floriana Cangiano, inizia la sua carriera musicale da giovanissima. Nel 2006 prende parte al musical “C’era una volta scugnizzi” diretto da Claudio Mattone, in collaborazione con Gino Landi, e da quel momento inizia a lavorare con l’arte, tra teatro e musica. Nel 2014 pubblica il suo primo disco “D’amore e di altre cose irreversibili” e negli anni collabora con diversi artisti, dal musicista Stefano Bollani all’attore e regista teatrale Mimmo Borrelli.
La sua ultima creazione, “31salvitutti” racconta una realtà urbana, perché “non è facile liquidare la realtà in due parole. Va conosciuta, osservata, vissuta.” come ci ha raccontato. Il disco comprende 11 tracce che vanno dal ricordo di un’infanzia passata in “31salvitutti”, ad un grido verso l’emancipazione femminile in “La Gaviota”, riscrittura con un finale a sorpresa del romanzo di Fernán Caballero; delle contraddittorietà di Napoli in “Radio Volkan” alle denunce sociali di “L’uomo normale” e “Per guardarti meglio”.
Flo ha raccontato la sua evoluzione nel mondo della musica e il suo prossimo progetto “Brave Ragazze” ai nostri microfoni.

Quanto è cambiata dal suo primo disco?

Cambio tantissimo di anno in anno. Vivo una vita molto dinamica, i viaggi che faccio e le persone che incontro mi cambiano sempre. Sicuramente sono cambiati i miei contenuti: prima non volevo dare fastidio, ora sono molto più incisivi, non ho paura di dire ciò che penso e voglio che ciò che racconto sia autentico. Un brano come “La Gaviota” non l’avrei mai scritto cinque anni fa, per paura di sembrare una femminista incazzata.

Cosa, invece, è rimasto invariato?

Ho sempre la stessa gioia di cantare. Quando canto non esistono gli orari, i soldi, le ore di prova. Esistono solo la musica, il pubblico, il palcoscenico: questo c’era nel 2014 e c’è ancora oggi. Tutta la mia vita è concentrata sulla musica e sul momento in cui canto.

Cos’è Brave Ragazze?
È un progetto che avevo in testa da tempo e a cui non ho potuto dedicarmi fino al lockdown degli scorsi mesi, in collaborazione con Michele Maione e Cristiano Califano. L’idea di base è riproporre brani scritti o interpretati da cantanti e cantautrici del mondo latino, che secondo me non hanno avuto un’adeguata narrazione. Ci sono artiste che hanno realizzato cose epiche nella loro vita e nessuno se ne ricorda mai, non se ne parla in termini di coraggio e valore nella scrittura, quando magari hanno anche perso la vita per i loro ideali. L’obiettivo è portare al pubblico le storie di queste donne, attraverso un viaggio. Posso dire che quest’estate ci ha salvato la vita, perché abbiamo lavorato proprio grazie alle anteprime di Brave Ragazze e il pubblico le ha accolte con un calore incredibile, perché la gente vuole conoscere le storie.

Che intende?

Si dice che all’estero la gente sia più curiosa, il che è vero, l’ho notato in prima persona. Lì il musicista è visto come un mestiere serio, da noi il pubblico è un po’ più pigro. Però io noto anche che il pubblico è catturato quando racconti una storia e non hai la pretesa di metterti lì solo a cantare, perché per una persona è difficile seguire un concerto di due ore di soli inediti. Impegniamoci anche noi a non pensare che il pubblico sia stupido e non capisca, perché questo ci premierà.

Cosa si può fare in questo momento in cui i luoghi dell’arte non sono accessibili?
Secondo me non è tanto negativo il fatto che le persone sentano la nostra mancanza, perché può far capire che ciò che accade sul palco non è qualcosa di dovuto (al pubblico – ndr), un caso. Spero che questo momento porti una riflessione più seria soprattutto dal punto di vista delle tutele lavorative, ma questo dipende anche da noi. Sembra brutto da dire, perché l’arte è vista sempre come un qualcosa di romantico, ma è anche un lavoro. Dobbiamo essere i primi a non farci percepire come quelli che pur di cantare farebbero di tutto. Suonare ciascuno da casa propria, secondo me, non è plausibile, ma credo che si possa sfruttare questo tempo dedicandosi ad un progetto, alla sua creazione e allo studio che vi è dietro, anche se mi rendo conto che per molti colleghi ci siano anche altre preoccupazioni che spesso non lasciano la mente libera per studiare.

Cosa consiglia a chi vorrebbe avventurarsi in questo lavoro?

Penso che non sia un lavoro per tutti. Bisogna avere un’esigenza forte di farlo, perché non dà certezze. A chi vuole fare l’interprete consiglio di partecipare ad un talent, perché gli autori bravi non scrivono per gli sconosciuti o gli esordienti, ma per le etichette. A chi ha un amore spropositato e un’esigenza forte dico “Buttati!”. Se scrivi, non hai problemi, sei autonomo. Devi sperare che le persone apprezzino. In generale penso che bisogni avere molta cura del live, perché l’aspetto della vitalità è importante, altrimenti la gente ascolta, ma dopo un po’ perde i significati per strada. Non basta il talento, bisogna alzarsi tutte le mattine e lavorare.