Le magiche parole per i beni culturali impresa e interpretazione

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Se volenterosi cittadini organizzano una raccolta di fondi per strappare al dominio di topi, umidità, distacchi d’intonaco e ogni immaginabile dissesto un bene culturale, se un ente non si occupa della sua proprietà che sta andando in rovina perché non ha fondi, come si può allora risolvere una problematica che è molto più grave di ciò che appare, perché non è episodica e legata a un singolo bene, ma è la problematica che affligge la maggioranza dei beni culturali presenti sul territorio? Lo stato con un guizzo creativo ha inventato l’Art bonus: chi fa erogazioni liberali in denaro per il sostegno della cultura, come previsto dalla legge, potrà godere d’importanti benefici fiscali sotto forma di credito d’imposta. Applauso. I limiti di spettanza del credito sono il 15% del reddito imponibile se gli eroganti, i mecenati de noartri itagliani, sono persone fisiche o enti che non svolgono attività d’impresa, e il cinque per mille del ricavo annuo per i titolari di reddito d’impresa, incluse le stabili organizzazioni d’imprese non residenti. Standing Ovation. Esaminiamo i risultati: al 28 gennaio 2016 su un costo previsto di 500,000 euro per il restauro del Campanile dell’Annunziata, le erogazioni ricevute ammontavano a euro 10000. Proprio diecimila euro. Erogazioni spese zero. No applausi. Per la fontana del Sebeto le donazioni effettuate ammontano a euro 1.837,22. Ne mancano ancora ottantotto mila circa al novantamila euro stimati per i lavori di restauro.  Pollice verso. Il Comune di Napoli ha fornito chiaramente i dati per il bonifico e non ci sono stati imbrogli: semplicemente l’Art bonus così com’è non funziona. Perché? Facciamo il conto della lavandaia. Se un privato eroga 10000 euro, lo sconto fiscale del 15% sul reddito sarà €1500. Bene e poi? Un privato per avere uno sconto di 1500 euro ne spende 10000,00. E’ chiaro che non si tratta di un investimento ma di un regalo di 8500,00 euro. Un investimento prevede un utile e un rientro di spese.  Perché ciò possa accadere, bisogna evitare che le leggi disincentivino le imprese, i privati, o chiunque voglia mettere le proprie sostanze in questo campo, indicando soluzioni che ben analizzate non sono affatto attraenti per l’investitore. In Germania ogni anno i privati investono in imprese che hanno a che vedere con la cultura circa quattro miliardi di euro. In tutta Italia sono investiti solo 180 milioni di euro l’anno. Questo avviene perché il nostro stato non equipara davvero l’incentivo fiscale dello sponsor privato di eventi culturali alla donazione. La donazione rende un bene, qualsivoglia bene, di proprietà di qualcuno che può farne ciò che vuole, nei limiti di legge ma ciò che vuole. Lo stato invece dice: ” se mi doni io ti do il bonus fiscale, ma se vuoi organizzare con i miei beni l’incentivo, non lo hai”. Bisogna quindi lasciare alle imprese anche la possibilità di agire, di rendere produttivo il proprio investimento.

Investitori ce ne sarebbero e tanti. Basti pensare che il restauro della Cappella Sistina è stato sponsorizzato dai giapponesi.  La cappella Sistina è del Vaticano, non dello stato italiano. La condizione necessaria anche se non sufficiente è quindi il cambiamento della legislazione fiscale. Per evitare poi che investitori improvvidi trasformino i nostri beni in Disneyland, si dovrebbe fare come in Inghilterra: dalla Torre di Londra alla più piccola chiesa di un paesino sperduto, i gestori adottano le tecniche dell’interpretazione. Tecniche che prevedono progetti, regole e quindi briglie che pur lasciando piena gestione evitino di stravisare le opere e la loro storia.

Il complesso dell’Annunziata, campanile compreso, e la ruota degli esposti sono un esempio di come l’assenza di applicazione di principi di autogestione del bene lo portino alla rovina. Non funzionando l’Art bonus, alcuni volenterosi cittadini hanno cercato di raccogliere fondi per il restauro. Apprezzabile il proposito, ammirevole l’amore per la città. I beni culturali non possono però essere affidati al buon cuore della gente. Quand’anche si riuscisse a mettere insieme il quantum necessario al restauro, l’assenza di progettualità imprenditoriale che metta a reddito il bene sarebbe l’assoluta garanzia di un nuovo processo di depauperamento e rovina dell’intero bene culturale. Quindi? La soluzione è sempre nella parola magica “interpretazione”. Don Aldridge definì l’interpretazione come l’”arte di spiegare il significato di un luogo a quelli che lo visitano e a quelli che lo vivono, in maniera da comunicare un messaggio di conservazione”. Il valore storico, artistico e architettonico del complesso dell’Annunziata è arcinoto, ha elementi molto caratterizzanti affinché l’identificazione dei visitatori con la sua essenza, possa provocare emozioni e ricordi capaci di generare visite ripetute. Il flusso turistico dei suoi elementi, nel ciclico avvicendarsi, potrebbe garantire il suo continuo successo turistico. Si tratta di tre cardini: la chiesa, il campanile, la ruota. Ognuno ha il suo ciclo vitale composto da tre fasi: scoperta-maturazione-declino, a loro volta sdoppiabili in esplorazione coinvolgimento, sviluppo, consolidamento, stagnazione e declino.  Per garantire la continuità del numero di visite basterebbe studiare interventi sfalsati su ognuno dei tre elementi, per cui ogni volta che uno di essi conosca il momento di declino, gli altri due si trovino uno nel periodo  di consolidamento e l’altro in quello di coinvolgimento. Più difficile da spiegarsi che da mettere in opera. Per esempio sui visitatori italiani sarebbe da sfruttarsi la ruota degli esposti e tutte le storie sull’origine del cognome più diffuso a Napoli che è Esposito o Degli Esposti. Chi non conosce un Esposito a Napoli? Chi abbia per cognome Esposito come potrebbe non avvertire la curiosità e il desiderio di scorrere gli archivi dove erano puntigliosamente annotati tutti gli effetti che il bimbo abbandonato aveva tra le fasce, e che ne avrebbero permesso il riconoscimento quando il genitore pentito dell’abbandono avesse voluto riaverlo con sé? 

I visitatori locali potrebbero sentirsi coinvolti nella ricerca di antiche radici, mentre ad esempio i visitatori lombardi potrebbero interrogarsi e prendere spunto per indagini sull’origine del cognome più diffuso in Lombardia (dopo quello cinese) che è Rossi. Piccole cose che siano in grado di creare identità ed emozione, desiderio di tornare. Un imprenditore privato con un rigido protocollo da cui non poter derogare, avendo solo quel bene in gestione potrebbe concentrare tutte le proprie energie su quel bene e spendere tempo e forze per metterlo a reddito. Cosa che lo stato, dovendo pensare a tutto il patrimonio, finisce per non fare.